“Una delle cose che ho cercato di fare nel mio lavoro è stata riconfigurare la relazione tradizionale tra la componente visiva del film, sia esso documentario o di finzione, e il suono. Tradizionalmente, la colonna sonora non fa che confermare o sottolineare qualcosa che già esiste” John Akomfrah
John Akomfrah, inglese di origini africane e fondatore del Black Audio Film Collective, è un regista che nella sua carriera si è sempre interrogato su quale fosse il modo migliore per descrivere l’immigrazione degli africani in Inghilterra negli anni ’50 e ’60.
Beh, certo non questo. The Nine Muses, al di là della rispettabilità degli intenti, visivamente è un pout-pourri di immagini da archivio sul tema dell’immigrazione condito con riprese paesaggistiche dall’alaska. Il film è suddiviso in 9 capitoli (che corrispondono alle 9 muse greche, figlie di Zeus e di Mnemosine), con una colonna che a brani di musica colta più o meno celebri (Schubert, Wagner, Arvo Pärt) sovrappone declamazioni di estratti di Omero, Dante, Milton, Shakespeare, Beckett, Joyce. Il risultato finale è di un lirismo poetico confuso e insostenibile, un film che si vuole rivelatore ma che non riesce a rivelare niente. Un lungo sermone sul quale poco c’è poco da dire, e dove rimane poco spazio per pensare. The Nine Muses è un film che osa, sperimenta, ma nella ricerca di un nuovo lirismo non trova niente di meglio che centrifugarne di vecchi, combinando elementi ottimi in modo pessimo, per giunta scuocendo il minestrone con un ritmo narrativo praticamente inesistente. È un peccato dare un giudizio così tranchant ad un’opera, sulla carta, molto interessante, ma proprio non ci siamo. Si salva solo la bellezza fotografica delle scene di ghiacciai, talvolta iper-saturate e talvolta desaturate, sfumate, evocative, sovraesposte, frutto di una post-produzione ricercata. Altro ottimo ingrediente, l’unico inedito, buttato lì, puro elemento estetico.