Tratto dall’omonima graphic novel, “Virus tropical” è il primo lungometraggio dell’animatore colombiano Santiago Caicedo, conosciuto dal circuito festivaliero per i suoi corti presentati e premiati ad Annecy e Clermont-Ferrand. La stessa Paola Gaviria, nota fumettista di origini ecuadoriane e attiva con il nome d’arte di Power Paola, ha contribuito allo sviluppo del film realizzando ex-novo più di 5.000 disegni a mano, così da garantire un’aderenza estrema, per tratto e stile, al suo primo lavoro pubblicato nel 2011, distribuito anche in Italia grazie a Hopedizioni.
Caceido procede per sintesi e riduce l’approccio dialogico della Gaviria, per puntare soprattutto alla dimensione mutante del tratto e alla commistione, spesso selvaggia, tra stili d’animazione eterogenei.
Bidimensionalità, linee e motivi optical e alcune folgoranti incursioni cut-out, interpretano il disfunzionale racconto di formazione autobiografico della Gaviria nel tentativo di cercare un’integrazione tra parola e visione soggettiva.
Sembra esile e quotidiana la storia della piccola Paola, ma è continuamente trasfigurata da segni e premonizioni, sin dal giorno della sua gestazione mentre gli elementi naturali infuriano fuori dalla camera da letto e Caceido confonde la pioggia con il viaggio di uno spermatozoo.
La fecondazione, lo scaracchio di un tassista, il calvario della madre Hilda, la cui gravidanza viene messa in dubbio sin dall’inizio, alternativamente come frutto diabolico, isteria, o semplicemente aria, propagano l’origine di Paola come un virus, all’interno di una famiglia costituita dal padre prete Uriel in costante conflitto con Hilda, le sorelle maggiori Patty e Claudia ed infine la domestica sull’orlo di una crisi di nervi.
Caceido e la Gaviria inseriscono i traumi e la crudeltà della crescita in un contesto, tra Ecuador e Colombia, che lascia sullo sfondo la storia socio politica per favorire l’andamento diaristico del racconto.
Ma è il parlato monologico della scrittura confidenziale che viene a poco a poco corroso dall’animazione di Caceido, capace di evidenziare le caratteristiche “virali” del tratto, mentre distrugge e crea senza soluzione di continuità.
L’innesto è allora la modalità che interessa al regista/animatore colombiano. Attento ai minimi dettagli e alla possibilità di trasfigurare il banale quotidiano dell’esistenza, traspone gli stimoli della narrazione tradizionale nella dimensione animata, dove la relazione tra figure e cornice è sottoposta a continua espansione dell’una sulle altre.
Il regno sembra quello dell’illustrazione applicata al modello delle motion graphics, utilizzate in questo caso con molta misura e talento narrativo. Si tratta ovviamente di una narrazione allusiva e in continuo cambiamento, incorporata nell’atto stesso della visione intepretato come agente instabile del cambiamento.
Il dialogo allora è l’aspetto meno importante nella versione cinematografica di “Virus Tropical” perché il racconto ormai comunemente disfunzionale del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, assume le caratteristiche di un flusso di coscienza al confine tra realtà e astrazione, desiderio e sogno.
Il vulcano che esplode e sfonda la cornice mentre Hilda si fa possedere dall’ira, il tratto scuro e palpabile che definisce la porta oltre la quale Claudia si difende dal confronto con la madre, la dimensione aliena, quasi cubista, che caratterizza, nelle forme e nei movimenti, il rapporto di Paola adolescente con la realtà che la circonda.
E mentre le musiche di Adriana García Galán mettono insieme tradizione e suoni di certo rock indipendente, emerge un brano del 2011, anno in cui la Gaviria ha pubblicato la sua graphic novel.
In “El Marciano“, Amadeo Gonzales, esattamente come Caicedo con la sua animazione instabile e furiosa, affida alle liriche tenerezza e ininterpretabilità del reale: “caminando por el campo me encontré con un marciano, y el marciano me decía ‘¡skipriskapreskapreski!’.