domenica, Novembre 24, 2024

Volevo Nascondermi di Giorgio Diritti – Berlinale 70 – Concorso: la recensione

Guardando i dipinti di Antonio Ligabue già Laccabue (1899-1965), e conoscendolo per sentito dire, viene in mente il concetto deleuziano di divenire animale. Un pittore naïf, con deformità fisiche e problemi di salute mentale, che schiaffa sulla tela fiere ruggenti scaturite dalla fantasia come il rinoceronte di Dürer.

Il film di Diritti prende invece la direzione opposta e inscena un Ligabue che, seppur selvatico, ululante, attratto tanto dalle bestiole dell’aia quanto dallo scarafaggio che si ritrova in casa, tenta di diventare umano. O meglio tenta, mediante l’arte e la fama che lo premia a sorpresa, di fare come gli altri, di acquistare moto e autovetture, soprattutto di avere accesso all’amore. È questo a trasformare “Volevo nascondermi” in un’autentica tragedia, più che un semplice biopic “mimetico” come l’Hammamet di Amelio-Favino.

Ligabue come l’uomo elefante dell’Emilia novecentesca.

Adottato in Svizzera ma finito a Gualtieri (provincia reggiana), il giovane Ligabue è un autentico ragazzo selvaggio che si esprime in maniera incomprensibile. Elio Germano, che lo interpreta da adulto, si cala nell’uomo con un aiuto prostetico e compie il miracolo che gli abbiamo già visto fare con Leopardi.

Per capire il livello di somiglianza basta andare su youtube e recuperare frammenti del corto di venti minuti girato nel 1962 da Raffaele Andreassi col vero Ligabue. Diritti rinuncia a inserirlo nel film, nemmeno nei titoli di coda (tipico espediente da film biografico), scelta legittima che sottolinea l’autonomia della pellicola.

Guardare il materiale di Andreassi – le cui riprese compaiono nel film – serve tuttavia a capire quanto il grottesco veicolato da Germano non sia affatto un’esagerazione, e soprattutto a legittimare le numerose scene in cui Ligabue, solo nella stanza da letto, si traveste da donna.

Non è una trovata degna di Ed Wood: è tutto vero. Ciò detto, “Volevo nascondermi” racconta una storia “liberamente ispirata” alla vita dell’artista, come fece nel 1977 Salvatore Nocita con lo sceneggiato RAI avente come protagonista Flavio Bucci.

Diritti, che è sempre bello poter vedere al lavoro, racconta una storia visivamente memorabile soprattutto nella prima parte, austera ed estraniante, dopodiché è Germano a papparsi tutto. Per ambientazioni e umore, il film s’impone come un inno all’Emilia profonda e uno alla gioia (Beethoven irrompe con Toni sulla sua prima moto), inseguita e mai acchiappata. Restano i sogni, come un affresco utopico in un casolare abbandonato.

E quando sopra ci passa una mano di pittura nera, si piange.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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