[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#fcce14″ class=”” size=””]Sinossi: Un Magistrato, amministratore di un isolato avamposto di frontiera al confine di un impero senza nome, aspetta con impazienza la tranquillità della pensione, fino all’arrivo del Colonnello Joll. Incaricato di riferire sulle attività dei “barbari” e sulla sicurezza al confine, Joll conduce una serie di spietati interrogatori. Il trattamento dei “barbari” per mano del colonnello e la tortura di una giovane donna “barbara” spingono il magistrato a una crisi di coscienza che lo porterà a compiere un atto di ribellione donchisciottesco.[/perfectpullquote]
La regia di Ciro Guerra riesce a scolpire il granito e allo stesso tempo a danzare su un contrappunto sartoriale grazie a un catalogo di scene fortemente materiche tenute insieme da una traccia di cucito agile e leggiadra. Con questa soluzione stilistica il regista trasmette subito a livello visivo una sensazione di immediatezza impattante mediata dalla complessità più cerebrale – o volendo una sensazione di comunicazione diretta e compromissione ambigua della stessa.
In Waiting for the Barbarians questo controllo, questa educata personalità visuale, si percepisce anche al netto della forte presenza letteraria di J.M. Coetzee (autore del romanzo da cui il film è tratto) in sceneggiatura e della lingua inglese (è il primo approccio estero per il regista): la storia di un avamposto alla frontiera dell’impero infatti è caratterizzata a un tempo dalla frontalità e dalla trasversalità dalle sue fondamenta narrative ai ghirigori metalinguistici.
Lo scontro tra il comportamento inclusivo del magistrato a capo della micro-comunità di frontiera (Mark Rylance), aperto a una convivenza tra impero e nomadi, e quello dispotico del colonnello Joll (Johnny Depp), poliziotto di alto grado deciso a impostare dogmi attraverso la violenza, è il segno più superficiale di questa lotta che attraversa il film in ogni sua direzione.
A livello tematico la partita gioca invece con questo bipolarismo per mostrare le differenze politiche tra due approcci antropologici antitetici rispetto al problema della presenza straniera, alla gestione delle migrazioni e alla comprensione delle etnografie.
A livello meta testuale invece la forte comunicatività del messaggio è straniata da tessiture ambigue: la bontà della didattica associata a un personaggio preciso viene messa in dubbio da una descrizione psicologica che legge nell’azione buona fantasmi di secondi fini.
Le immagini finali raccontano, sublimando l’incontro tra immagine dichiarativa e montaggio risemantizzante, le conseguenze di questa teoria e si sigillano con una linea che è frase funerea.