Corrado Sassi: La mia passione per la fotografia è iniziata quando ero piccolo con una macchina fotografica regalatami da mio nonno, che era un giornalista. Mi sono avvicinato al cinema come attore recitando in 3 film di Matteo Garrone (Ospiti, Estate Romana). È stato un incontro fondamentale, proprio per il suo modo sperimentale e insolito di fare cinema. Da diversi anni volevo realizzare qualcosa di mio. Sono contento che sia stato selezionato. È stata un’esperienza molto intensa. Ho voluto raccontare come l’uomo a contatto con alcuni aspetti della natura resti come nudo, senza difese. Ci sono molti silenzi in questo film, i dialoghi sono scarsi; si è trattato di un anno e mezzo di lavoro, il più faticoso ma anche il più divertente della mia vita che mi ha fatto capire quanto la realtà del cinema sia più dinamica rispetto all’arte contemporanea.
Mi sono ispirato ad un racconto di Robert Louis Stevenson intitolato Il riflusso della marea. Io sono praticamente cresciuto su una piccola barchetta di 9 metri sulla quale io e i miei genitori viaggiavamo per diversi mesi l’anno attraverso il mediterraneo. Trascorrendo molto tempo da solo ho letto molto Stevenson, Conrad ma anche Jack London ed altri autori che mi piace definire “outdoor” proprio perché spesso descrivono il rapporto più viscerale dell’uomo con la natura. Ricordo infatti che il mio ritorno alla realtà dopo questi viaggi di 4 mesi era piuttosto traumatico, spesso mi ritrovavo a balbettare. Come regista, ma anche come artista mi piace molto chiedere pareri alle persone che si trovano a collaborare con me, e mi sono mosso così anche durante la realizzazione di Waves che definisco un’opera corale.
Nel tuo film si vedono spazi apertissimi, come è andata la realizzazione, quali sono state le sfide?
Io amo molto gli western americani e anche i film noir degli anni 40, penso al cinema di John Ford, ma anche la letteratura di autori come Chandler in cui spesso c’è un senso di mistero e di irrisolto. Ho trasposto queste mie passioni in un contesto, come quello del mare, che mi è familiare. Nel mio film è come se il mare sconfinato fosse un po’ la notte dei film noir.
Come raccontano questa esperienza gli interpreti del film?
Luca Marinelli: Ciò che dice Corrado è vero, abbiamo lavorato in divenire, confrontandoci spesso gli uni con gli altri.
Salvatore Sansone, che ha anche collaborato alla stesura della sceneggiatura: Il mio personaggio nel suo isolamento vive una specie di catarsi. L’isola per lui è un rifugio, un allontanamento dal mondo e anche una rimozione. Rimane però incapace di allontanare del tutto il suo passato, e quando vede giungere la barca a vela capisce che non potrà mai veramente sfuggirvi. Le dinamiche tra i personaggi mi ricordano un po’ la tragedia greca, sono degli argonauti “marci”.
Francesco Di Leva: Non posso non dire che durante le riprese del film avrò vomitato almeno 12 volte al giorno (ride), ho scoperto di soffrire terribilmente il mare. I primi 3 giorni sono stati devastanti, tanto che ho seriamente pensato di mollare. Alla fine però questo malessere è diventato il punto di forza del personaggio.
Salvatore Sansone: Quando sono arrivato a Ponza per le riprese era un giorno caldissimo e ricordo di aver aspettato che qualcuno venisse a prendermi in porto per circa 5 ore. Verso sera ho visto arrivare Francesco, letteralmente verde, che mi ha detto in dialetto napoletano “Totò, mi devi credere, la prossima volta nemmeno se ci stà a Sean Penn faccio un film accussì”!