I movimenti ondulatori della steady, il taglio sghembo ed esplicitamente pop delle inquadrature, la saturazione colorimetrica di Garry Phillips e l’ingombrante colonna sonora techno-orchestrale di Cezary Skubiszewski, caratterizzano e impostano il tono della miniserie Amazon scritta da Beatrix Christian e Alice Addison e diretta a sei mani da Michael Rymer, Amanda Brotchie, e Larysa Kondracki. Chiaro sin dai primi venti minuti, quanto il taglio estetizzante connetta personaggi, oggetti, colori e spazi entro la dimensione dell’ipervisibilità. Tutto emerge in superficie, facendo convergere gli aspetti dichiaratamente metaforici con quelli del racconto. Da una parte c’è una precisa volontà di ricollocare e spostare i climax di un film come quello di Peter Weir che negava proprio la gradazione ascendente degli elementi narrativi, preferendo al contrario rotture, sospensioni e aberrazioni temporali. Dall’altra vengono esplicitati tutti i potenziali sottotesti allusi ed esaminati da decenni di interpretazioni sull’opera cinematografica, tanto da trasformare l’esperimento in uno strano metatesto che solletica le necessità scopiche, anche più volgari, dello spettatore medio. Ruoli e prossimità diverse, per intensità e frequenza, tendono a caratterizzare i personaggi in uno spazio narrativo apparentemente più ricco, ma del tutto bidimensionale per la forma esplicita che delinea le loro “biografie” all’interno dell’Appleyard College.
La prima differenza evidente è il personaggio di Hester Appleyard, distante anni luce dalla ieraticità protestante di Rachel Roberts, assume i tratti di quel “carnevale delle differenze” fatto di pura testualità e tipico del raggelamento post-moderno. Natalie Dormer indossa un paio di occhiali ovali che attraversano più di un’epoca e si fa strada con una concezione del mondo che mette insieme le caratteristiche dell’eroina gotica con quella di un villain BDSM. Questa relazione, tra sesso negato, costrizione e sorellanza identitaria, viene resa esplicita dall’impostazione fortemente grafica della serie, a partire dalla violenza mostrata e da una serie di elementi che nel film di Weir rimanevano nello spazio delle possibilità allusive.
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La quattordicenne Inez Currõ per esempio, a cui viene affidato il ruolo di Sara Waybourne, viene sistematicamente punita e “torturata” nel tentativo di frenarne gli impulsi e fa la sua prima apparizione legata ai praticabili per gli esercizi, come nel film di Weir, ma osservati da una prospettiva così visibile e chiara da moderarne tutta la potenza allusiva che nel cinema del regista australiano assume la forma dell’esperienza nel suo farsi.
Del resto, tutta la serie mantiene una connessione specifica con gli elementi dei “testi originari”, ma interpretandoli da un punto di vista strettamente tematico, anche quando si affida al fascino della contemplazione visuale. Ed è visuale il sangue che scorre sui petali di rosa quando le ragazze suggellano un patto, visuale il bianco dei vestiti che si fonde con gli altri colori durante la scalata del complesso roccioso, visuali tutte le sequenze che coinvolgono un atto di costrizione o di punizione corporale, tanto da esaurirsi in quella stessa cornice, senza consentire che l’immagine conduca altrove. Da questo punto di vista, il lavoro sul personaggio di Hester è quello che lascia il segno, rispetto alla volontà di costruire le strategie seriali intorno alla storia personale delle ragazze prima della scomparsa. La Dormer divora letteralmente la scena, selvaggia e dominatrice ha le qualità furenti di un’entità malvagia, quasi più presente della roccia stessa. Sul suo modo di gestire lo spazio e renderlo inospitale, si basa l’intera struttura della serie, a partire da come sono organizzate le inquadrature, nel gioco estremo della profondità di campo, tesa ad evidenziare la prepotenza e la presenza di un gesto, più che a mettere in relazione diversi piani della visione.
Territorialità e identità non sono al centro del lavoro della Kondracki, tanto che di quel rapporto si perdono le tracce, a favore di una rappresentazione chiusa dello spazio, che si contrappone ad un’altra altrettanto immobile, separata dalle convenzioni del racconto onirico. Paradossalmente inattuale, parla forse alle nuove generazioni lavorando sulle ossessioni e le pulsioni adolescenziali, con una prossimità che è francamente rintracciabile anche altrove. Si sprecano le analisi in rete sulla “queerness” dei personaggi, nello stile autoptico che regala trentasettemila caratteri a ciascun personaggio, secondo quel filo che lega le analisi “popolari” e autoreferenziali dei blogger all’universo seriale, che sembra non dipendere da alcun passato, se non quello di una “storicizzazione” immediata che tratta la Storia delle immagini come quella degli aborigeni.
Quello che ci preme dire è che la serie di “Picnic…” nel tentativo di conservare l’inesplicabilità del mistero come obiettivo dichiarato sin dalle prime immagini, è costretta a barare con lo spettatore stressando al massimo le connessioni tra personaggi, e chiudendo il discorso sull’assenza del tempo in una cornice già concepita per essere allargata ad libitum. Ferma agli elementi combinatori del puzzle, senza lavorare per sottrazione né cambiare le regole già scritte della forma seriale, “Picnic at hanging rock” si avvicina paradossalmente al capitolo finale del romanzo della Lindsay, pubblicato negli anni ottanta contro la sua volontà. In quelle pagine si cerca una soluzione, si da un nome all’esperienza dello spirito, si nega in buona sostanza la possibilità che il testo ci ipnotizzi. Il lavoro della Kondracki, preoccupato com’è di scolpire una serie di personaggi entro caratterizzazioni precise, sposta la percezione del mistero ai margini della tessitura; l’ossessione di eluderlo equivale a quella di spiegarlo ad ogni costo.
Picnic ad hanging rock – la miniserie 3 Blu Ray disc – I Contenuti speciali
La miniserie proposta da Amazon Prime e pubblicata da Koch Media in versione Blu Ray contiene tutti i sei episodi nei primi due dischi e ne dedica un terzo ai contenuti speciali. Il disco è suddiviso in due parti, una dedicata ai B-Roll, l’altra alle interviste. Nella sezione B-Roll sono inclusi brevi filmati che mostrano i luoghi dove è stata girata la serie oltre ad alcuni momenti di lavorazione. Tra gli spazi documentati, oltre agli studi dell’australiana Freemantle che ha prodotto la serie, c’è l’area intorno all’hanging rock, la regione montuosa del Macedon, il parco Wattle.
La sezione interviste include solo alcune conversazioni con parte del cast, tra cui una lunga con Natalie Dormer e una con la giovane e talentuosa Inez Curro. Altri segmenti sono dedicati al lavoro scenografico, alle giornate di riprese presso la roccia. Completano la sezione le interviste ad uno dei tre registi della serie, Michael Rymer e alla sceneggiatrice Alice Addison.
La confezione Koch Media è molto simile a quella dedicat al film di Weir, con un bel slipcase in cartonato e un booklet illustrato incluso.
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