La vita di Jung è dura: per il bambino coreano non è facile integrarsi nella società francese. Sente il peso della diversità su se stesso, sulla sua pelle – che, con un po’ di poesia inconsapevole, nella sua carta di identità viene definita “color miele”. Vuole essere uno della famiglia, ma al contempo sa di essere un estraneo. Con la madre, in particolare, il giovane Jung ha gli scontri più accesi, adottando una personalità introversa e ribelle. Rifiuta anche la sua origine coreana, spacciandosi per giapponese, e si appassiona al disegno, che utilizza per fuggire dalla realtà.
Il film è contraddistinto da una narrazione forte e travolgente, sostenuta da aneddoti divertenti, ma anche da parentesi crude, necessarie per la crescita del personaggio. Un percorso di formazione che lo porterà ad accettare la sua famiglia, senza rinunciare alla propria identità.
Couleur de peau: miel è un film poetico, pieno di dolcezza, che scalda il cuore. Jung non è un bambino facile da amare, eppure terribilmente vero. I suoi gesti di ribellione, se non li condividiamo, li riusciamo a comprendere. Il trauma del passato ritorna sovente – soprattutto quando Jung viene punito severamente dai genitori, episodio in cui riaffiorano i tristi ricordi della dittatura coreana – ma il bambino riusciurà comunque a convivere con i ricordi, e conciliarli con il presente.
La fusione tra live action e animazione non è certo una novità – pensiamo a Kill Bill, con cui Couleur de peau condivide anche un certo “stile” fumettistico -, eppure, il film di Jung e Laurent Boileau trova una sua precisa identità, ritagliandosi un piccolo spazio a sé nel mondo dell’animazione. Un film assolutamente coinvolgente, e che lascia il segno: un piccolo pezzo di vita vera, raccontata con la magia del disegno.