Si apre su un’immagine di repertorio del disastro di Hiroshima, Ginger e Rosa, il viaggio sentimental-esistenziale della cineasta bitannica Sally Potter (suo il cult Orlando), che confeziona una parabola sulla perdita dell’innocenza e sullo scontro brutale fra utopia e disincanto. Nate in coincidenza con la distruzione della città Giapponese, da due madri adolescenti, Ginger e Rosa sono due adolescenti scapigliate nei primi anni ’60, amiche-sorelle inseparabili e cocciute, fra musica, sigarette e primi amori in una Londra operaia e politicizzata. Mentre il padre di Rosa svanisce nel nulla, quello di Ginger, Roland, è un anarchico dello spirito, pacifista e libertino, affascinante professore in lotta contro il grigiore dell’esistenza borghese. Ossessionata dalla minaccia nucleare, Ginger si trasforma in un’attivista politica. Rosa cerca invece salvezza nella religione e preferisce cullarsi nel ruolo dell’eroina romantica, finendo proprio fra le braccia di Roland, che si commuove ascoltando Schubert. Di fronte all’amore ci si può soltanto arrendere, confessa il padre alla figlia in lacrime, mentre ogni parvenza di focolare domestico finisce in frantumi. Sullo sfondo di un’epoca angosciata, fra apocalittici messaggi radiofonici, cortei ed esuli politici, il film mostra come gli scossoni dell’esistenza modifichino caratteri ed emozioni, mentre il guscio di ideali entro cui cresciamo si sgretola di fronte a eventi e passioni incontrollabili. Se la bomba atomica, capace di annientare l’umanità intera diventa lo specchio dell’angoscia cosmica che avvolge Ginger, adolescente alle soglie dell’età adulta, Roland sacrifica affetti e responsabilità sull’altare della propria libertà personale. Intimista e ondivago nel progressivo avvicinarsi alla catastrofe finale, quado i forti (Roland e Rosa) ammutoliscono di fronte alla resa dei deboli (la madre tradita di Ginger), Ginger e Rosa non ricostruisce un’epoca, ma un paesaggio dell’anima dai colori saturi, avvolto da un sentimento di malinconica attesa. Quadro impressionista che procede per sensazioni, attraversato da ondate emotive e da archetipi presto bruciati (l’intellettuale libertario, la modesta housewife, l’adolescente ribelle), il film ha i pregi e i difetti di un’opera altalenante, priva di un centro narrativo forte, e scissa fra una prima parte convincente nella delineazione dei caratteri (con suggestive inquadrature di grandi spazi aperti) e una seconda che si attorciglia su se stessa, abdicando a qualche ridondanza di troppo.