Il cast è ottimo. Annette Bening, sempre dinamica e frizzante, è la madre Zelda; Matt Dillon, agente paranoico e farneticante della CIA, ha una parte piccola ma l’humour sale parecchio; Christopher Fitzgerald, un Ralph inetto e maniacale, figlio e fratello obeso compulsivo/ossessivo quanto basta, è capace, con la sua collezione di paguri, di abbassare i toni a qualsiasi virata melodrammatica del testo.
E poi c’è Darren Criss, attore, cantante, musicista e ballerino, qui membro di una boy band e aggancio sentimentale con la protagonista. Sicura carta vincente del film e atteso da milioni di fans, scattano gridolini isterici in sala ad ogni comparsa in scena.
Imogene Duncan è Kristen Wiig, l’eccezionale Annie delle crisi sentimental-esistenziali e delle piccole, grandi crudeltà di Bridesmaids. Stavolta non si tratta di damigelle ad un matrimonio condito di invidie e veleni, ma ci siamo vicini. C’è il milieu della Manhattan che conta, un fidanzato upper class che lei adora e che, purtroppo, ha deciso di mollarla, e c’è una madre un bel po’ fané, gran giocatrice di slot machine e tenuta a distanza di sicurezza da Imogene. Zelda, però, piomba a sorpresa da Atlantic City per recuperarla dopo il finto e inutile suicidio messo in scena ad uso e consumo dell’ex.
Ed è così che Imogene, scrittrice di talento e in procinto di carriera luminosa, si ritrova dalle feste del tout New York e dai vernissage “a cui non si può assolutamente mancare!” in quel New Jersey dozzinale, con spiagge da turisti della domenica, da cui ha sempre fatto di tutto per scappar via.
Alla fine, però, dovrà riconoscere che si può guardare la vita con occhi diversi, e il New Jersey avrà per lei tesori nascosti che a New York non sognava neanche. Un happy end che non stona, benchè sappia di favola strana in mezzo all’indiavolato e caotico rincorrersi di colpi di scena e piccoli e grandi disastri quotidiani.
E’ andato in onda, infatti, fra New York e Atlantic City, il consolidato repertorio delle nevrosi americane e metropolitane. La coppia Springer Berman/Pulcini coniuga l’America del disagio di Altman con quella delle gag a ritmo frenetico di Woody Allen, ciò che ne risulta è un mix di malinconia e allegria che scuote il grande freddo sentimentale, sempre attivo, ma stavolta con un finale consolatorio.
Famiglie disfunzionali con padri spariti e recuperati fuori tempo massimo, giusto il tempo per capire che è stato meglio perderli che trovarli, madri svitate e sessualmente iperattive nonostante gli anni che, alla fine, si scoprono migliori dell’immagine che danno di sé, fratelli obesi e socialmente disadattati ma con trovate geniali capaci di risolvere i casi più estremi: con Imogene va in scena la vita delle persone comuni e le piccole cose di pessimo gusto di tutti i giorni.
Humour surreale e comicità spontanea della vita reale vanno a braccetto in questa commedia che scorre leggera e con garbo, anche se l’ impianto drammaturgico è debole. Il profilo dell’americano medio che vuol tracciare è, infatti, schizzato con bei graffi, senza indulgenza e qualche buona linea, ma sembra a volte stereotipato, si ha il sospetto che il rincorrersi esilarante delle trovate stia coprendo uno spessore che manca. I fasti di American Splendor sono ancora da rinnovare, ma ci si diverte lo stesso, e tanto.