Scritto e interpretato da Mario Balsamo con Guido Gabrielli, Noi non siamo come James Bond
è un viaggio sul filo di una memoria allegramente rievocata e dolorosamente necessaria, ora che la vita alle spalle è sentita come più lunga di quella davanti e una pesante malattia, sconfitta a fatica, ha lasciato il sapore agrodolce del tempo perduto.
Due amici, trent’anni passati insieme e un bel carico di ricordi da sfogliare. Una Mini d’epoca in affitto prima, degli Intercity poi, i luoghi di un’ amarcord reale e fiabesco insieme e un’idea in bilico tra il fenomenale e il surreale: telefonare a Sean Connery, unico e solo interprete riconosciuto del mito della loro giovinezza, James Bond.
Terzo film italiano in concorso al TFF, nasce da un’amicizia fraterna, quella di Mario e Guido, da un lontano viaggio a Reykjavik, era il 1985, e dall’idea partorita allora di fare un film che dichiarasse pubblicamente che loro, in giro per il mondo con canadese, lira contata e ragazze zero, non erano proprio come quel concentrato di machismo e tecnologia, bellissime donne e hotel superlusso, champagne a colazione e smoking senza una piega: “Avevamo vent’anni, andavamo all’avventura, e l’agente segreto di Sua Maestà (che incrociavamo nei cinema di mezza Europa) sembrava deriderci e che ci guardasse dall’alto con le nostre magliette sozze e la tenda canadese”.
Cicatrici interiori e necessità dei sentimenti per sopportarle, leggerezza e ironia per continuare a vivere, ed ecco materializzarsi Daniela Bianchi, la prima Bond girl italiana, la fascinosa spia russa Tatiana Romanova di From Russia With Love, e l’agente segreto al servizio di Sua Maestà più amato al mondo, completo dei suoi formidabili gadget, la ventiquattrore ultra accessoriata e le scarpe con il coltello retrattile,
sembra a portata di mano.
Ma adesso non è più quel Bond ad attirarli. Sono passati ventisei anni e due tumori, guariti, non si sa come, con strascichi, soprattutto per Guido. La vita continua, però, e mettersi in gioco resta imperativo categorico, dunque quel film vogliono farlo, oggi che, ancor meno di allora, sono come James Bond e il bisogno di parlare di quel cancro, (anzi, dice Mario, “fargli delle domande”) è forte. Ma vogliono anche riderne, per esorcizzarlo.
E allora cosa c’è di meglio che chiedere all’immortale per antonomasia, James Bond, come si fa a diventare immortali anche loro?
Possono chiederlo solo al grande Sean Connery, dunque bisogna rintracciarlo, fare lo spelling del nome alla centralinista, superare schiere di segretarie e press agent, insomma ci vuol pazienza.
Quando finalmente, in un inglese non esattamente fluido, riusciranno a parlargli, si sentiranno cortesemente rispondere da un anziano signore che al momento si trova alle Bahamas, che non è lì per lavoro ma per cure mediche, che non può in alcun modo essere utile e che li saluta codialmente.
E’ invecchiato anche lui! Solo il mito cinematografico non muore mai, anzi ringiovanisce, mentre “noi siamo (stati?) a braccetto con la morte, insieme a lei a guardare i soffitti della sala operatoria, un tramonto al mare, un affettato misto in trattoria…”
Sabaudia, la spiaggia dei bivacchi spensierati a tirar l’alba, le piazze di Umbria Jazz dove Guido riscopre la sua anima musicale, il parco per pomiciare in mezzo ai cespugli: scorrono i luoghi della memoria in un film semplice e disadorno solo all’apparenza, overload di rimandi emotivi nella realtà. Presenza incombente della morte, corpi che la malattia indebolisce e devasta, non riconoscersi più, l’idea di sé non più corrispondente con quello che appare allo specchio.
Mario e Guido attraversano insieme anche questo valico della vita, le cicatrici non sono ancora rimarginate e forse non lo saranno mai, ma resta un’amicizia più che fraterna (Guido – dice Mario- è il fratello maggiore che non ho avuto) legame che ha superato i contrasti, inevitabili, le amarezze, che costellano la vita di tutti, e, soprattutto, la malattia.
Con i due smoking neri alla James Bond attraversano la scena di una stralunata ma tanto reale commedia umana, poi entrano in acqua lasciando sulla riva i vestiti, il cinema si riprende le sue maschere, la vita i suoi uomini. Ma quale delle due è la storia più vera? La discussione fra Mario e Guido su questo punto ha l’aria di non finire tanto presto.
Film di sommessa, disarmante verità, amabile incursione in un mito del cinema con un’identificazione a rovescio: noi non siamo come lui, e la vita ce l’ha insegnato in tutti i modi, ma l’abbiamo amato e ammirato, è giusto che sia immortale, come tutti i miti. Servono, per continuare ad essere uomini.