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30 ° Torino film Festival – Quartet di Dustin Hoffman (Usa, 2012) – Festa Mobile

Film d’apertura della 30ma edizione del Torino Film Festival e debutto alla regia di Dustin Hoffman, Quartet è adattamento di un’opera teatrale di Ronald Harwood, andata in scena nel 1999 all’Yvonne Arnaud Theatre di Guildford.
Alle origini della pièce e del film c’è Il bacio di Tosca, miglior documentario musicale al Ghent International Film Festival nel 1985 e premio della International Documentary Association nel 1986. Girato da Daniel Schmid nella Casa di Riposo per Musicisti fondata a Milano nel 1896 da Giuseppe Verdi, ricostruiva la vita del soprano Sara Scuderi, interprete di primo piano del teatro operistico fino agli anni ‘40, circondata da altri artisti della Casa.
Hoffmann
sposta il set in una wedding house (residenza usata per matrimoni), che lo scenografo Andrew McAlpine adatta a casa di riposo con un gusto tutto inglese per le dimore grandi e severe in  pietra grigia, aperte su caldi interni pieni di fiori, nei vasi, nella tappezzeria e nelle porcellane del thé.
E’ la Beecham House, isola di pace immersa in una morbida campagna illuminata dai toni tenui della luce autunnale, piccolo mondo antico per cantanti lirici ormai lontani dalle scene. Nota dominante, un po’ di malinconia ma anche tanto ottimismo, voglia di vivere e sentirsi ancora sulla breccia, nonostante  la terza età. C’è festa, nell’aria, bisogna organizzare un concerto per raccogliere fondi e impedire la chiusura della casa e, perché no? celebrare il compleanno dell’amato Verdi.
A introdurre la dissonanza è l’arrivo di Jean Horton (Maggie Smith), ex primadonna dell’opera ed ex moglie di Reginald, Reggie per tutti (Tom Courtenay).
Lui non si è non si è più risposato, da allora, lei sì, ben cinque volte. Ora Jean sembra proprio non rassegnarsi alla terza età, alla fine della gloria, alla caduta della voce e alla vita quasi tutta andata. Valide ragioni per avere la faccia che ha in mezzo a quei vecchietti sorridenti e rispondere, inorridita, che è una pazzia la proposta di cantare il terzo atto del Rigoletto. Con Wilf (Billy Connolly) Cissy (Pauline Collins) e l’ex marito, Jean  formava, ai tempi d’oro, il leggendario quartetto dell’opera verdiana, e l’organico di rara bellezza creato dal canto del Duca, Maddalena, Gilda e Rigoletto, aveva raggiunto vertici nella loro interpretazione.
A questo punto, quello che sembrava un passatempo per anziani con tante ore a disposizione, l’organizzazione della recita in mezzo ad attività varie, come spiritosi corsi di teoria musicale a giovani votati al rap o esercizi al piano durante l’immancabile thè delle cinque, diventa uno scontro/incontro di caratteri e sentimenti, sintesi dei vari modi di intendere la vita e i rapporti umani.

Come nel Rigoletto timbri vocali tanto differenti trovano insuperabile armonia nella fusione musicale, e gioco amoroso, spensieratezza e dolore si uniscono nella trasparenza delle trame sonore, così Quartet  riesce nel miracolo di far convivere quattro figure tanto diverse tra loro e conservarne intatta l’individualità. Un nutrito cast di glorie del cinema, da Maggie Smith a Tom Courtenay, Billy Connolly e Pauline Collins, dà vita ad una commedia leggera, romantica, spesso esilarante,  diretta con misura attenta da un grande attore che sa, da regista, come muovere i personaggi sulla scena, dosando i toni e trasmettendo le note giuste. A far da corona, diventati per un po’ attori anche loro, tanti cantanti d’opera e musicisti del passato, che sfilano nella carrellata finale sui titoli di coda accanto alle foto dei loro splendori. Ridefinire la terza età con il gusto di scoprire quanta energia vitale ancora conservi, evitando corrività e macchiettismo, è stata la scommessa pienamente vinta dal neo regista. Merito anche di una recitazione eccellente, briosa, governata da buone dosi di ottimismo e allegria, conoscenza della vita e saggezza conquistata,il film scorre con leggerezza mai banale, piacevolmente arricchito da tanta e superba musica. Non un film del pomeriggio per vecchie coppie al tramonto, dunque, ma un modo di fare cinema con garbo, mestiere e amore per l’arte tout court. Il quartetto che dà il titolo all’opera s’impone, infatti, con la bellezza dei grandi momenti verdiani lungo tutto lo sviluppo della vicenda, i sentimenti contrapposti dei quattro personaggi del melodramma fanno da contrappunto a quelli del film, infine il sipario scende, e resta la gioia di avere, ancora una volta, scoperto che l’arte può illuminare la vita, e che l’età è solo un fastidioso ma sopportabile inconveniente. E allora, perché non risposarsi? come dice Reggie alla nuovamente luminosa Jean in un finale, certo, prevedibilmente romantico, ma assolutamente atteso da una platea che ha riso, si è commossa ed ha applaudito a lungo.

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