Su re è una riscrittura della Passione di Cristo in lingua sarda. Un film in cui non sono più le montagne e le valli della Palestina, ma quelle della Sardegna ad accogliere la storia che, secondo Pier Paolo Pasolini è «la più grande mai raccontata». Un film che, nonostante questo marcato decentramento, mantiene una scrupolosa fedeltà ai Vangeli Sacri, optando per una struttura a-cronologica, in cui la successione di eventi – il tradimento di Giuda, la liberazione di Barabba, la Crocefissione, l’Ultima Cena, ecc. – non viene narrata secondo una logica lineare. Una volontà, questa, che evidenzia l’immortalità di una storia senza tempo, per la quale non è più necessaria una progressione strettamente “logica” per essere compresa. Una scompaginazione narrativa che avvicina, tra l’altro, la visione del film – grazie anche alla forte pittoricità delle immagini – alla pura contemplazione, come ad una serie di tavole affrescate in una chiesa.
Per interpretare i personaggi della Passione, il regista Giovanni Columbu sceglie uomini dai volti duri, scavati. Gesù stesso (Fiorenzo Mattu) ha un volto grottesco, da semplice popolano. Già come fece Pasolini nel suo Vangelo secondo Matteo, la storia Sacra è consegnata agli umili, attraverso gli umili. In più, Columbu “trasporta” la Passione nel suo paese, la Sardegna, ambientandola nei luoghi che meglio conosce: scrive, infatti «ho deciso di trasporre la storia in Sardegna, perché è il mondo che amo e meglio conosco […] Per scoprire Gesù qui, tra di noi». Una volontà di attualizzare una storia senza tempo: rivisitarla, per dare nuova vita al testo sacro.
La messa in scena di Columbu è attenta e precisa. Ad esempio, la violenza nel film viene sempre mantenuta fuori campo, creando una sorta di anti-spettacolarizzazione delle immagini più cruente, procedendo, dunque, in maniera diametralmente opposta a quella di Mel Gibson ne La passione di Cristo. I dialoghi sono rari ed essenziali. I personaggi, infatti, sono silenziosi: accettano tacitamente un destino già scritto. Gesù stesso raramente proferisce parola, soffrendo in silenzio e facendosi carico dei peccati dell’umanità.
Le prime inquadrature del film ci portano sulle colline del Golgotha, il monte in cui Gesù venne crocifisso: meravigliose immagini (di tipo documentaristico) che ci mostrano i monti della Sardegna avvolti dalla nebbia, ispirate probabilmente, nel taglio delle inquadrature e nell’atmosfera, alle riprese delle lande peruviane dell’Aguirre di Herzog. Quando vediamo per la prima volta Gesù egli è già sulla croce, mentre viene deriso dal popolo. I volti dei suoi accusatori sono inquadrati dal basso, come nella Passione di Giovanna d’Arco di Dreyer: la macchina da presa ne evidenzia la brutale autorità ma, al contempo, mostra alle loro spalle il cielo plumbeo, da cui sta per scatenarsi l’ira furente di Dio. Solo una volta che il “re dei re” salirà in cielo, il sole ritornerà. Dei bambini allora correranno sulla collina: egli è risorto, e il mondo con lui.
Su re è un altro prezioso tassello del cinema sardo contemporaneo. Un cinema in fermento, fresco, vitale, che già a Venezia quest’anno ci aveva regalato un ottimo film: Bellas mariposas di Salvatore Mereu.