L’osservazione della realtà per Sandro Dionisio passa attraverso la vitalità pulsante di uno spazio sincretico; era così per La Volpe a tre zampe, lungometraggio realizzato nel 2003, dove il mito complicava un percorso di conoscenza storica legato anche alla morfologia di Napoli; è ancora più radicale nel film prodotto da Gianluca Arcopinto, ispirato solamente in parte al monologo teatrale di Davide Morganti, testo originario affidato interamente ad un sorprendente Vinicio Marchioni, che su una figura crudele ed escrementizia come “il trovacadaveri”, recuperatore di corpi senz’anima naufragati sulle coste Italiane dopo la loro odissea di migrazione, stratifica a sua volta elementi contrastanti di storia performativa Napoletana, delineando un ambiguo e urticante anti-personaggio che attinge anche alla linfa della Napoletanità per entrare e uscire violentemente dalla rappresentazione di una mitologia conosciuta. Materia complessa e “negativa” che Dionisio trasforma in un film da lui stesso definito come “urgente”, una commistione di linguaggi che ancora una volta ci racconta come il miglior cinema documentario e il miglior cinema di finzione sia quello che si avventura in una deterritorializzazione dell’occhio, capace di incontrare la realtà all’interno dei due mondi, senza l’illusione di afferrarla. Il regista Napoletano innesta un dialogo serratissimo sull’integralità del testo di Morganti, disintegradolo e affidandosi anche a quel tipo di testimonianza vicina all’occhio più amorevole di Silvano Agosti, in una ricerca dell’anima del migrante che viene rivelata non solo da questo scollamento della documentazione dal testo teatrale, ma anche da una violenta sovrapposizione capace di creare un continuo slittamento di senso; è il vero “recuperante” di cadaveri, incontrato durante il percorso che porta Dionisio in contatto con una serie di presenze vive, a dialogare con la maschera mostruosa di Marchioni, in una re-interpretazione vitale del testo di Morganti, rilanciato in una direzione inedita, e allo stesso tempo, in un percorso che non è mai unidirezionale, permettendoci di innestare la visione di un’umanità complessa e dolente nell’ultima sequenza dove vediamo Marchioni disteso accanto ad un cadavere recuperato. Montato da Giacomo Fabbrocino insieme agli allievi della scuola Napoletana di Cinema “Pigrecoemme”, Un consiglio a Dio vive di quella luce rara di cui vivono i progetti apolidi, anche nella loro vitale incertezza tecnica; il film di Dionisio è coraggiosamente il dialogo non riconciliato tra teatro, documento, cinema di poesia , percorso di conoscenza didattica, di un cineasta raro ed ec-centrico.