Nicolas Wackerbarth, classe 1973 ha una doppia formazione. Nasce come attore teatrale, in seguito agli studi completati all’accademia teatrale di stato Bavarese, e prosegue il suo percorso alla Dffb, ovvero l’Accademia di Cinema e Televisione di Berlino, dove comincia a muovere i primi passi in qualità di redattore per la rivista tedesca dedicata al cinema nota come Revolver e come autore di una serie di corti prodotti dal 2000 in poi. Unten Mitte Kinn è il suo primo lungometraggio, un Tv Movie prodotto per la ZDF che sintetizza l’esperienza dell’attore/regista Tedesco in un tentativo di assottigliamento di quello spazio intermedio tra improvvisazione e metodo. La messa in scena di “Bassifondi”, una delle opere più estreme e anti-romantiche di Maksim Gorkij, è la prova finale di un percorso di studi condotto senza guide ne insegnanti stabili da un gruppo di studenti di un’accademia teatrale a rischio chiusura; uno scollamento dalla paternità che disinnesca progressivamente il senso di appartenenza alle strategie di adattamento del testo per attivare una riappropriazione di quello spazio performativo vicino alla verità di corpo e fonema. Wackerbarth cerca di celare la presenza della soggettiva attraverso una compresenza tattile della macchina da presa con i corpi degli attori, lo si rileva sin all’inizio, in quel tremolio dell’immagine che appare qualcosa di molto diverso dal realismo “progettuale” del Von Trier di Idioti. L’immagine di Unten Mitte Kinn, antiseduttiva e sbilanciata, traccia un perimetro di quadratura televisiva che cerca lo stesso livello percettivo dei corpi coinvolti. In un continuo entrare ed uscire dal testo di Gorkij, gli studenti dell’accademia sperimentano una relazione dolorosa con il sistema teatrale tradizionale, un piccolo “inland empire” da dove è possibile uscire solo in una revisione radicale di spazio e parola. Spiace che le intenzioni di Wackerbarth si riducano, come nella comunque bella sequenza del saggio finale che rigetta i confini angusti dell’esame come dispositivo di valutazione della verità, ad un’inerzia di fatto didascalica. Nonostante ci sia l’accenno di un lavoro sul suono e sul rumore dei corpi, siamo lontani dal modo in cui Chiara Guidi indica un percorso possibile per la voce, un montaggio drammaturgico che viene definito a partire dalla sua distanza dal testo inteso come concetto per avvicinarsi all’essenza della parola come puro suono, come ha avuto modo di raccontare anche ai lettori di indie-eye.it in una memorabile video intervista rilasciata insieme a Blixa Bargeld, Teho Teardo e Alexander Balanescu; Unten Mitte Kinn a un certo punto, nella sua fuga dal metodo sembra purtroppo ancorarsi nuovamente al peso del significato urlato, costruendo un nuovo testo attraverso un’indicazione teorica troppo esplicita; il senso dell’utopia, lo scacco matto di tutte le rivoluzioni.