Albert Nobbs ha un sogno: aprire un negozietto, modesto ma all’insegna del massimo decoro (una delle sue rare esternazioni è:“La vita senza decenza è insopportabile”). Sarà una tabaccheria con vendita anche di caffè e dolciumi, e in un salottino annesso le signore passeranno bel tempo davanti al caminetto, mentre una decorativa specchiera farà mostra di sé sulla mensola.
La mancia di Mrs. Vattelapesca é stata cospicua, la specchiera dunque ci sarà.
La mancia? Sì, Albert Nobbs é un distinto signore in redingote nera (e bombetta quando va a passeggio nelle ore libere) che fa il cameriere presso un elegante Hotel con ristorante di Dublino.
Look impeccabile, gestualità controllatissima, calvinista fino al midollo nel rispetto del suo mansionario, a lui non può muovere mai un appunto la garrula e cinica padrona dell’Hotel (un’ adeguata Pauline Collins), a cui non sfugge neppure una macchiolina sul cravattino di un vecchio cameriere o una risatina di troppo fra le sguattere.
Nel ristorante dell’Hotel arrivano per cene e balli in maschera i benestanti della città.
Moine e sorrisi di accoglienza sono tutti per loro, non importa se ruttano, rumoreggiano, scopano le cameriere (almeno il serio e pingue dottore).
I servi devono essere impeccabili, modelli di comportamento (non si sa per chi), dotati di rigidità geometrica ed equilibrio infallibile nelle articolazioni per portare vassoi e valigie.
Infatti non é ammesso scivolare sul ghiaccio degli scalini con i bagagli di Sir tizio e caio, pena il licenziamento.
E, soprattutto, non bisogna far figli fuori del matrimonio, altrimenti arriverà il prete a prendersi il neonato e la madre finirà in strada.
Ma se il bello dagli occhi verdi (Aaron Johnson) ha messo incinta la camerierina carina (Mia Wasikowska) che sognava di sposare un Duca, e poi se n’é andato in America a cercare quella fortuna che in Irlanda tarda ad arrivare, non c’é altra scelta che arrendersi al Fato.
Il nostro Albert sa tutto questo, lo sa da tanti, tanti anni, ma ha deciso di non arrendersi.
Sa che per le donne la vita é ancora più difficile che per gli uomini. Bene o male un uomo, benché nato nella culla sbagliata, in qualche modo se la cava. La donna no.
Albert era una donna, anzi, é tuttora una donna, ma ha deciso di essere un uomo, ha messo un pesante corsetto sul petto ed ha i lineamenti del viso adatti, tirati, prosciugati, capaci di inespressività totale.
E’ un uomo perfetto, prodotto di una metamorfosi inappuntabile, meticolosa, anche perché, forse, si diventa quello che si decide di essere e la collaborazione di Matthew W. Mungle, capo del make up artist, é stata decisiva. Ma Glenn Close, semplicemente grandiosa, una delle ultime grandi Muse del cinema, sotto quella maschera riesce ad essere più che mai espressiva.
Dal dramma teatrale di Simone Benmussa, ispirato ad un racconto dello scrittore irlandese George Moore (1852-1933) e portato sulle scene del teatro off-Broadway nell’ ‘82 dalla stessa Close, che allora ricevette il premio Obie, Rodrigo Garcia trae un film di efficace sinergia fra script, immagini, recitazione, suono e fotografia.
I drammi individuali si stagliano con giusto rilievo sullo sfondo delle condizioni sociali di un’Irlanda di oltre un secolo fa, gretta, provinciale, classista e bigotta.
Scenari alla Dickens, pieni dell’ indignazione vibrante e mai gridata del grande romanziere, si mescolano a toni satirici alla Thackeray nel delineare caratteri e comportamenti, e forse la scelta di
Mary Anne Evans, che decise di essere George Eliot (raccogliendo però miglior fortuna di Albert Nobbs) deve aver ispirato la fantasia di George Moore quando scrisse il racconto.
Glenn Close dà alla figura di Albert una straordinaria umanità:
“È il ruolo più difficile che abbia mai fatto. La sua storia é triste e comica allo stesso tempo. Per questo intreccio di humour e malinconia mi sono ispirata a Charlie Chaplin. Albert ci costringe a ricalibrare ogni nozione sulla differenza tra i sessi. La sua parabola ci fa capire che il sesso delle persone é irrilevante, o almeno dovrebbe esserlo”.
Albert ha perso la sua identità, ha vissuto un’esistenza vulnerabile in cui dolore, paura e delusione fanno continuamente irruzione.
Quando il caso le fa incontrare il signor Page, che nasconde il suo stesso segreto (Janet McTeer, candidata all’Oscar per la sua strepitosa interpretazione) solo allora sembrerà svegliarsi, il signor Page vive in modo positivo la sua trasformazione, mentre per Albert é un espediente doloroso, nato da un bisogno economico.
Ora può farsi domande sul sesso, di cui non ha la minima idea, indossare un vestito femminile per una volta, e correre lungo la spiaggia come una bambina felice, inciampando dopo un po’ nella gonna.
Peccato che la sobrietà nella regia, che molto merito ha nel tessere buoni legami tra fiction e realtà storica, si perda nella seconda parte del film, e resti solo sulle forti spalle di Glenn Close il compito di traghettare fino alla fine un racconto che non finisce nel mélo solo per merito suo.
La storia infatti si avvolge su sé stessa nella vicenda sentimentale conclusiva, condotta in modo alquanto improbabile e si riabilita solo nel prefinale.
La maschera di Albert é, a quel punto, un’autentica maschera mortuaria, e questa volta vera.
“Lay Your Head Down” di Sinead O’ Connor, nomination ai Golden Globe come miglior brano originale, accompagna con perfetta corrispondenza sonora i titoli di coda.