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Asian Film Festival 2010 – Tears (Yen lei) di Cheng wen-tan (Taiwan, 2010)

Quinto film per Cheng Wen-tang, primo con il veterano Tsai Chen-nan (City of Sadness di Hou Hsiao Hsien è il suo primo film come attore). Dopo la commedia romantica Summer’s Tail il regista Taiwanese lavora sullo spazio urbano concentrando dieci anni di storia Nazionale in un melodramma oscuro che apre prospettive più esplicitamente politiche dello sguardo di Lee Kang Sheng sulla città, quel confine tra corpo ed evanescenza dell’immagine lascia il posto ad un occhio vitreo puntato sulla superficie. Uno strato opaco che Guo (Tsai Chen-nan), vecchio poliziotto a suo agio con i metodi di tortura praticati durante il regime, cerca di erodere con una forma di resistenza individualista alle derive della democratizzazione. Guo si dibatte tra questi due mondi dove in quello presente la sopraffazione e la disumanizzazione si annidano sotto la morfologia di un mercato in crescita; nella sua fierezza di carnefice legge una realtà senza codici con una disperazione simile ai personaggi più estremi di Kitano Takeshi.

Cheng Wen-tang lavora sulla stratificazione di un dramma anti escatologico di derivazione quasi Sirkiana, dove il percorso della storia si riflette su corpi e azioni con un determinismo solo illusorio. Le costanti visite di Guo alla madre di Wen, una delle ragazze-vetrina che vendono frutta, e l’ossessione per la morte di overdose di una giovane ragazza spingono il poliziotto in una zona d’ombra sempre più complessa che trasmuta il suo personaggio in un corpo politico, un’immagine di transizione del potere che rende indistinguibile il passato personale da quello di un’intera cultura.

Cheng Wen-tang mantiene una distanza amorale quasi Dumontiana, con piccole incertezze quando si lascia andare ad alcuni Jump Cuts ad effetto, come se non riuscisse a conservare tutta la forza di quella persistente ambiguità; qualità che torna a ferire quando le lacrime di Guo si confondono nel tremolio incerto delle immagini conclusive, immagine feroce e bestiale che confonde il pianto con una reazione chimica, come la cera che scende sul volto dell’icona Mariana nel primo Dekalog di Kieślowski; è semplicemente cera, raccontava il regista Polacco.

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