Incontri ravvicinati con misteriosi esseri alieni, esorcismi e demoni, incubi notturni e fantasmatiche presenze. il filone dell’horror paranormale sembra inesauribile, tanto da aver ultimamente messo in sordina l’altro versante del mirabolante mondo della paura, quello che si costruisce attorno all’entità più inafferrabile: la follia. Così per i nostalgici di Leatherface e della sua scalcagnata famiglia di cannibali, arriva “Bereavement”, che riscopre i fasti sanguinolenti di “Non aprite quella porta” e la macabra ferocia del più recente “Hostel”, rinunciando però alla programmatica freddezza della saga di “Saw”, per attingere a piene mani all’immaginario degli anni ’70. L’anno scorso il Festival del Cinema di Torino aveva esplorato in lungo e in largo il genere, dal Carpenter di “The ward” al corto boy scout “The legend of Bevear Dam”, fino all’esilarante mockumentary “Vampires”, reportage sulla dura vita di una famiglia belga di vampiri, costretti a un forzato esilio canadese. Quest’anno, per la sezione “Festa Mobile”, accanto al poco riuscito “Intruders”, variante psicanalitica sul tema “Nightmare”, ecco “Bereavement”, firmato da Stevan Mena. Non un altro remake o una versione anglosassone di un b-movie nipponico, ma un dichiarato omaggio all’horror classico e ai suoi stilemi, dove il sangue scorre spesso e volentieri e gli assassini seriali prediligono vanghe e accette. Anni ’80: un bambino che non è in grado di avvertire il dolore è rapito da uno sconosciuto nel giardino di casa, mentre si dondola sull’altalena. La destinazione è un mattatoio abbandonato, dove il folle Sutter (una specie di Norman Bates con complesso edipico) adora un dio in forma di scheletro di vacca e sbudella le sue vittime, legate come animali al macello e squartate con coltelli di ogni sorta. Passano cinque anni e, nell’assolata provincia americana, dove i vicini abitano a chilometri di distanza e i campi si estendono a perdita d’occhio, arriva una diciassettenne, sbalzata da Chicago al nulla, dopo che entrambi i genitori sono morti in un incidente d’auto. Come promesso al fratello, di lei si occuperà lo zio, padre di famiglia con moglie e figlioletta bionda, attrezzi per il bricolage e cagnolino (campionario degno di ogni vittima designata che si rispetti). Non mancheranno un giovanotto poco raccomandabile che si invaghirà della protagonista, sfortunate cameriere e qualche anelito di ribellismo giovanile, fino al momento in cui Allison deciderà di varcare la porta del mattatoio per inseguire lo sguardo triste di un bambino che si nasconde nell’oscurità. Come chiunque abbia visto almeno un horror movie intuirà senza difficoltà, la carneficina non tarderà molto a cominciare, colpi bassi e falsi finali compresi. Nulla di nuovo sul fronte, ma qualche brivido (di disgusto) è comunque assicurato.