Ursula Meier, a quattro anni di distanza da Home, sembra abbandonare le derive più oniriche di quel visionario road movie pedinando gli espedienti che Simon, un ragazzino di dodici anni, escogita per mantenere se stesso e la sorella più grande; entrambi vivono da soli in un deserto urbano fatto di polvere e cemento, tranne quando Simon si allontana per procurarsi denaro, salendo verso le alpi svizzere a caccia di sci incustoditi, occhiali da sole da rubare, i pranzi al sacco di intere famiglie, l’attrezzatura di un’upper class in vacanza che rivenderà a valle. La Meier pedina le azioni, accentua la presenza della merce, esamina azioni guidate dal principio di necessità e soprattutto osserva una realtà disumanizzata dall’assetto delle periferie urbane, dove il denaro è l’unico carburante in grado di accendere lo scambio relazionale; il turista che picchierà selvaggiamente Simon per recuperare i suoi occhiali, i gestori della stazione di risalita che scoperti i furti, lo caricheranno senza troppi complimenti sulla funivia adibita al carico dell’immondizia e infine la sorella di Simon, che si finge tale per non ostacolare le sue relazioni con gli uomini ma che in realtà è una madre incapace di badare a se stessa e al figlio. La Meier filma una svizzera svuotata e senz’anima, attraverso una fenomenologia rovesciata dell’infanzia; non è solo Simon, sostenuto da una tenacia simile a quella di alcuni personaggi Dardenniani nel suo infaticabile viaggio tra montagna e città , ma sono anche le immagini di uno spazio dove gli adulti non lasciano tracce, aspetto su cui la regista franco-Svizzera insiste più volte e in modo stratificato; quando la sorella/madre di Simon viene trovata sbronza e priva di sensi da un gruppo di bambini che a fatica la trascinano verso la torre di cemento dove vive insieme al figlio e quasi per contrasto, nel delineare lo spazio delle vacanze invernali come luogo artificialmente famigliare, regolato da precise regole economiche che includono l’infanzia semplicemente come fetta di mercato. Ma al di là di uno schema che sulla carta poteva correre il rischio di rendere il film troppo programmaticamente impostato su una dinamica verticale, Ursula Meier stringe maggiormente sulla distonia tra corpo e relazione, sulla difficoltà di Simon e della madre nello sfiorarsi e lo fa semplicemente cogliendo i loro movimenti, seguendo il loro disperato deambulare, cogliendo la complessità affettiva in quel crocevia tra ricatto e bisogno, basta pensare alla sequenza più discussa del film dove Simon offre del denaro alla madre per dormire con lei e farsi abbracciare, è un istante lunghissimo dove la mediazione dei soldi non è banalmente la mercificazione di un sentimento, ma lo scudo che lo rende più sopportabile per entrambi.