Innamorarsi a quasi sessant’anni, con un matrimonio fallito alle spalle e coi figli ormai grandi, nella società cilena odierna, è davvero soltanto una risposta alla solitudine, ingenerata dal bisogno di sentirsi ancora giovani, vivi? E fino a che punto si è disposti a mettersi in gioco in una nuova relazione sentimentale?
Intorno a questi due interrogativi si sviluppa Gloria, il nuovo lavoro del regista Sebastian Lelio (La Sagrada Familia, 2006; Nadividad, 2009; El Año del Tigre, 2011).
Gloria (Paulina García) ha appunto 58 anni allorché conosce Rodolfo (Sergio Hernández) in un club da ballo per adulti single e attempati. Tra i due nasce subito un’intensa passione e da questa al grande amore il passo sembra breve. I problemi non tardano però a giungere; mentre nel nuovo rapporto Gloria ci mette tutta se stessa e vorrebbe condividervi tutto, Rodolfo, pur amando la nuova compagna, non sa accettare il suo ruolo nella famiglia di Gloria né tanto meno riesce veramente a distaccarsi dalle figlie ormai adulte e dall’ex-moglie.
Alla fine il rapporto naufraga e Gloria torna a ballare nel club per single attempati, ancora una volta da sola, sempre con una disperata voglia di vivere, di essere felice o anche, soltanto, di esserci.
Sul piano narrativo, l’intreccio si presenta con una focalizzazione interna sul personaggio di Gloria, tutto ciò che succede viene visto sempre e comunque dalla prospettiva della donna. Ciò fa sì che i diversi drammi che si affacciano nella trama restino comunque, nel corso del film, in secondo piano. Questi accadimenti, oltre che essere rilevanti per le persone che circondano Gloria, hanno anche una funzione ben precisa: il divorzio del figlio abbandonato dalla compagna, l’improvvisa gravidanza della figlia incinta di un norvegese, la tossicodipendenza del vicino che non riesce a curarsi neanche del bellissimo gatto, la crisi esistenziale dell’ex-marito e, non ultimo, il difficile rapporto di Rodolfo con figlie ed ex-moglie; tutti questi sono modi per parlare, tra le righe, della società Cile odierno.
Tutto ciò è nella vita di Gloria soltanto un’eco che si propaga nel silenzio esistenziale di una donna che resta, suo malgrado, spettatrice passiva di quanto le succede intorno.
È solo nel suo rapporto con Rodolfo che Gloria sembra tornare ad essere protagonista della sua vita, ma per poco: entrambe le volte in cui tenta di dare una stabilità alla nuova relazione di coppia presentando il compagno a figli ed ex-marito o buttando via il cellulare che questi usa per comunicare con la sua famiglia e che puntualmente squilla nei momenti più indesiderati, proprio in quei momenti Rodolfo reagisce scomparendo. Sembra che per Gloria non ci sia alcuna possibilità di condividere con qualcuno la propria vita. Persino la sua decisione di adottare il gatto del vicino tossicodipendente, che ritrova perennemente nel suo appartamento, viene bruscamente vanificata dal sopraggiungere del problematico coinquilino in cerca del felino.
Il film è girato in maniera solida, con una colonna sonora, un montaggio e una direzione della fotografia ben coesi tra loro e tesi ad accompagnare in modo discreto gli stati emotivi del personaggio protagonista. La recitazione degli attori è anche di buon livello e volutamente mai sopra le righe. A fare veramente la differenza in questo film sono l’ottima sceneggiatura e la stupenda prova attoriale di Paulina García, in grado di fare di Gloria uno dei personaggi più interessanti di tutta la Berlinale.