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Berlinale 2013 – Panorama Dokumente – La maison de la radio di Nicolas Philibert (Francia, Giappone 2012)

Salto di sezione, da Forum a Panorama, per uno dei più influenti documentaristi francesi. Nel 2010 Philibert ha presentato alla Berlinale il lungometraggio Nénette (recensito qui su indie-eye) e dopo un corto torna in Prussia con un nuovo progetto parigino, anche se diffuso on the air in tutto il mondo. La casa della radio è infatti l’enorme edificio circolare sito al 116 dell’Avenue du Président Kennedy, nel sedicesimo arrondissement, sede di Radio France, il servizio pubblico radiofonico francese.

Philibert si è aggirato per mesi nelle sale di registrazione, negli uffici e nei corridoi di Radio France, fotografando in particolar modo i primi mesi del 2011 dominati dall’eco della rivoluzione araba e dallo tsunami di Fukushima. Il periodo in cui un altro eco, Umberto, stava promuovendo Il cimitero di Praga anche nel Paese dove lo oui suona (e nel documentario appare ben due volte). Il Giappone, co-produttore del documentario, si ritaglia una parentesi bellissima e perfettamente suturata grazie a un intervistato che descrive il concetto di gaman, vale a dire il business as usual nipponico, la risposta posata e dignitosa anche agli eventi più traumatici.

Chi conosce l’opera di Philibert ricorderà Il Paese dei sordi (1992) o Essere e avere (2000), piccoli gioielli innervati di pudore e immersi nel silenzio. La maison de la radio sembra collocarsi in perfetta antinomia con questi capolavori silenti, in quanto indaga un mondo dove tutto è suono, voce, frequenza. Dove le parole vanno calibrate con precisione certosina e il minimo rumore di fondo blocca il lavoro di centinaia di persone, richiedendo un encore – sempre che non si sia in diretta. A ben vedere, tuttavia, questo ennesimo chief d’oeuvre firmato Philibert fa perfettamente pendant con la sua produzione regressa, poiché mostra senza spiegare – mai un momento didascalico, mai una caduta di ritmo, un accostamento stonato – e immagini e audio si fondono in una narrazione avvolgente ed elegiaca, oltre che densa di informazioni. Il genio di Philibert consiste proprio nello sposare un sincero afflato da servizio pubblico a un’idea di cinema fresca come l’acqua, estranea a voci off e “spieghe” di sorta.

È il mondo che ci parla, mediante i film di Philibert. In questo caso, la più importante radio francese nelle persone di chi ci lavora, di chi ci vorrebbe lavorare – il film decolla proprio con uno stagista – dei tanti ospiti e degli ascoltatori che chiamano, magari solo per ascoltare una canzone di Johnny Halliday prima di andare a dormire. Empatico, simpatico (alcuni stacchi di montaggio sono esilaranti), curiosissimo e sempre fedele all’oggetto dell’osservazione, con La maison de la radio il cinema di Nicolas Philibert si conferma un toccasana, oltre che una mosca bianca nel panorama, spesso manipolativo, del documentario post Michael Moore

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