giovedì, Dicembre 19, 2024

Berlinale 2013 – Panorama Dokumente – Roland Klick – The Heart Is a Hungry Hunter di Sandra Prechtel (Germania, 2013)

Scolastico, poco più che scolastico questo documentario incentrato sulla figura di Roland Klick, classe 1939, maverick riottoso del cinema tedesco anni Sessanta, Settanta e (in tono minore) Ottanta. Scolastico per come riassume la sua filmografia omettendo ben tre lungometraggi tra cui l’ultimo, datato 1989, e finendo per battere tasti arcinoti alle orecchie di chi, Klick, lo conosce già. Scolastico e poco incisivo per come lo intervista e lo riprende, spesso in contesti d’aula – il buon Roland campa da decenni insegnando cinema – senza arginare il suo narcisismo sbracato, anzi calcando fin troppo la mano sul mito del Grande Escluso, del cineasta selvaggio e fuori dai giochi il cui nome azzera qualsiasi ipotesi di finanziamento.

Peccato, perché Roland Klick è davvero una figura di culto rimossa dai libri di testo accademici e autorimossasi da graffe di comodo come quella del Giovane Cinema Tedesco col quale non volle mai avere nulla a che fare, pur avendo studiato a Monaco, nello stesso brodo culturale dei Wenders, dei Reitz e dei Kluge. Orgoglioso di non essere come quest’ultimo, che “gira i film per i signori che stanno nelle loro belle torri d’avorio”, Klick si è sempre fatto portavoce di un cinema di pancia, istintivo, escoriante, magari approssimativo e certamente fallimentare, se non in sala, al momento cruciale di convincere i produttori a imbarcarsi nell’impresa. Non a caso, la stragrande maggioranza delle sue pellicole è stata prodotta di straforo con soldi rimediati alla meno peggio, se non addirittura pescati dalle tasche del loro autore.

Sicuramente autoprodotti, ad esempio, i corti e mediometraggi degli esordi, nei primi anni Sessanta. Nel 1962 Klick, insieme a un crocchio di amici cinefili, diresse un goliardico ‘Diario di uno studente’ filmando la vita a Monaco con impeto e fantasia tali da sfidare, anche sul piano dell’originalità, i giovani turchi francesi della Nouvelle vague o i firmatari di Oberhausen. Seguì Ludwig (1964), con Otto Sander scemo del villaggio in una Franconia di cave e campi brulli, poi nel 1968 il primo lungometraggio, Bübchen, film shock su un bambino che uccide la sorellina di due anni e viene coperto dal padre operaio. ‘Ometto’ non piacque a nessun critico, scevro com’era da qualsiasi ideologia o introspezione motivazionale: un cazzotto nello stomaco vagamente ispirato a un fatto di cronaca, prendere o lasciare.

Due anni più tardi Roland Klick ebbe l’intuizione da reparto psichiatrico di girare un western moderno – un po’ spaghetti, un po’ astratto – nel deserto israeliano, con un buono, un cattivo, un brutto (Mario Adorf, indimenticabile cialtrone) e una bella squinzia. Il risultato, Deadlock, resta un unicum nella produzione di genere tedesca e rischiò di rappresentare la Germania Ovest a Cannes nel 1971, ma anche in quel caso i salotti buoni intervennero per bloccare lo sdoganamento del selvatico parvenu nativo di Hof. L’apice della produzione klickiana è molto probabilmente Supermarkt (1973), con Charly Wierczejewski ed Eva Mattes, uscito in Italia come Razza padrona in pieno ciclone poliziottesco. Si tratta di un film urbano a base di criminali da strapazzo e troie da sbarco, malinconico e fascinoso, con una canzone indimenticabile (Celebration, scritta da Klick e Marius West) e un finale da annali.

Dal punto di vista drammaturgico, la carriera di Klick termina convulsamente a cavallo degli anni Ottanta con due storie di droga, musica e gioventù. Il leggendario produttore Bernd Eichinger aveva appuntato Klick alla direzione di Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, ma pressoché alla vigilia delle riprese il regista venne lasciato a bocca asciutta – forse per divergenze nella scelta del cast e per il rapporto troppo paritario con i giovani attori – e sostituito da Uli Edel, che sfornò un successo clamoroso. Tagliato fuori ancora una volta dai grandi giochi, e proprio in uno dei periodi di massima esposizione internazionale del cinema Wessi, Klick tentò di “superare” Christiane F. con White Star, pellicola notturna e berlinese che narra di un produttore cinematografico che fa di tutto per lanciare un giovane musicista. Purtroppo o per fortuna, nei panni del produttore piombò un Dennis Hopper più junkie della Christiane F. dei tempi d’oro, e le riprese furono un’esperienza da capelli bianchi. Il film, magnifico come gli altri citati finora, conquistò misteriosamente il Deutscher Filmpreis ma Klick fu l’ultimo a beneficiarne in fatto di credibilità e credito spendibile.

Il documentario di Sandra Prechtel racconta tutto questo, né più, né meno, mostrando senza dubbio alcuno le scene più belle dei film citati e rimpinzando il minutaggio con interviste ben poco succose a Sander, Mattes, David Hess e all’amico Hark Bohm. Sì, c’è Roland in persona e sì, non mancano vecchie foto di scena e frammenti televisivi dantan, ma il documentario commette il peccato mortale di non avere polso, di non ricreare il mood che rende imperdibili i film di Klick. Tanto vale vederseli nelle splendide edizioni dvd curate dalla Filmgalerie 451. Roland Klick – The Heart Is a Hungry Hunter è un’operina che poteva essere assemblata già vent’anni fa. È pronta oggi, nel 2013, e per la prima volta ha fatto sì che i proiettori della Berlinale illuminassero le labbra superbe e il volto ridanciano di un grande maverick. Questa, in ultima analisi, è la sua unica, meritoria funzione.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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