W Imie (In the Name of) è la controversa pellicola sull’amore tra un prete e un ragazzo presentata in concorso a Berlino 63.
Riguardo all’ispirazione del film la regista polacca Małgośka Szumowska ha dichiarato: Ho iniziato a scrivere la sceneggiatura 4 anni fa, la storia mi è venuta in mente quando ho visto un trafiletto di giornale su un ragazzino che aveva ucciso un prete. Per questo ho iniziato a pensare ad una storia che coinvolgesse un ragazzino ed un prete. Volevo fare un film sulla solitudine e non c’è persona più sola di un prete. Ho parlato con molti preti che mi hanno confermato che la loro vita a volte è molto difficile. Ma non volevo fare un film controverso, contro la chiesa. Come regista non volevo giudicare il mio personaggio, volevo amarlo, e rendere questo è stato difficile. Sono stati necessari 2 anni per realizzare il film e il montaggio è durato un anno.
All’attore Andrzej Chyra è stato chiesto com’è stata la preparazione per un ruolo così scomodo: Ѐ stato difficile perché in un film precedente interpretavo il padre dell’attore (Lukasz Simlat, che qui dà volto all’oggetto del desiderio del protagonista); ma siamo amici, ci fidiamo e non abbiamo dovuto prepararci, abbiamo usato molto l’improvvisazione, non abbiamo seguito la sceneggiatura alla lettera.
Immancabile è stata la domanda sul perché la chiesa continui a considerare l’omosessualità un peccato; la risposta di Szumowska: Non è facile da spiegare, penso che la chiesa non voglia cambiare e forse non possa. Ѐ complicato, ma è un paradosso che non va bene per la società moderna. In un certo senso la chiesa è intollerante, chiusa e in Polonia è anche molto influente sulla società.
Alla regista è poi stato domandato se, dato il tema affrontato, fosse stato difficile trovare i fondi per realizzare il film e se si aspetta una reazione dal pubblico: No non lo è stato grazie al Polish Film Institute. Molte persone si sono dimostrate entusiaste, alcune no. Il budget era molto piccolo, ci servivano pochi soldi, non volevamo un film ad alto budget. Per quanto riguarda la reazione del pubblico, la parte conservativa della società potrebbe essere toccata dalla pellicola in modo negativo. Allo stesso tempo alcuni preti potrebbero ritrovare sé stessi nella storia, sebbene non potranno ovviamente dirlo. Temo solamente una cosa; che la mia storia venga etichettata come un film gay sui preti.
L’attrice Maja Ostaszewska ha descritto come si è avvicinata al personaggio di Eva: Sul set seguiamo le emozioni, scordiamo il lato intellettuale del film; della sceneggiatura mi è piaciuto il fatto che fosse molto aperta e sul set ero quindi focalizzata sui sentimenti.
Ovviamente un film con un argomento così attuale potrebbe scatenare delle reazioni da parte della chiesa, ma la regista si è dichiarata non preoccupata; ha tenuto però a sottolineare che nonostante la storia trattata non intende prendere parte alla discussione politica riguardo il tema dell’omosessualità.
Alla fine della pellicola, molto ironicamente, il ragazzo protagonista diventa un prete; riguardo ciò Szumowska ha affermato: Ѐ una fine perfetta per il nostro film perché è realistica e confonde lo spettatore.