Il misticismo religioso è il tema scelto dal giovane regista greco Spiros Stathoulopoulos per Meteora, film in competizione alla Berlinale 62. Meteora è un complesso di monasteri ortodossi sospesi sulla sommità dei monti della Tessaglia. In questo scenario si sviluppa la storia tra un monaco greco e una suora russa. Rintanati all’interno dei loro monasteri, conducono le loro giornate tra preghiere a dio, vita monastica e sporadiche visite in paese. Questa ripartizione dello spazio tra alto, medio e basso viene sfruttata da Stathoulopoulos per la raffigurazione dell’arbitrarietà del peccato. Tramite le discese dei protagonisti e i loro successivi incontri, il regista arriva infatti a problematizzare la spiritualità nella forma più dogmatica ed estrema. Dapprima amici e confidenti, i due monaci combattono una disperata lotta tra il voto di castità e la passione; un conflitto che li condurrà alla scoperta del corpo e alla consumazione di un rapporto carnale. Il metodo di rappresentazione di Stathoulopoulos è di approccio formalista. Estremamente ricercato nella riproduzione di un mondo antico e immateriale, il regista elabora l’ascetismo, elemento costitutivo della trama, come linguaggio filmico. Innanzitutto, come già è stato spiegato, riprende la trinità come elemento strutturale della sceneggiatura. In secondo luogo esplora l’iconografia religiosa in chiave narrativa: all’arte bizantina si ispirano infatti le animazioni (su legno) che arricchiscono l’apparato testuale del film e che raccontano della perdizione dei due protagonisti. Inoltre adotta la stessa spiritualità dei personaggi nelle scelte di regia. Da quest’ultimo fattore dipende la straordinaria forza espressiva delle scene principali: i turbamenti interiori dei protagonisti sono resi in maniera evocativa come voci fuori campo; nei momenti più lubrici il corpo non viene mai riproposto per intero, ma censurato dalla rigidità di qualche lembo di tonaca. La castità morale dei personaggi diventa quindi una scelta formale, il cui scopo è ricreare l’effetto di sensazioni mai esperite prima: una verginità che si perde nella mente dello spettatore prima ancora che sullo schermo. La rappresentazione del piacere è resa anche dalla particolarità del setting: il talamo dei due amanti è infatti un’insenatura rocciosa tra le montagne di Meteora. Proprio per mezzo di questa immagine, Stathoulopoulos lascia che l’allegoria iconografica conduca a termine il racconto elegiaco: per mezzo delle animazioni simula un inabissamento volontario dei due protagonisti giù per le viscere della terra fino all’inferno. Laggiù sta il corpo morente di Cristo, che sono i due monaci ad affiggere alle travi della croce. Il sangue che ne sgorga è il simbolo della loro scelta, della loro nuova vita.