Realizzato grazie al programma di finanziamento noto come TorinoFilmLab, il secondo lungometraggio d Edwin si è aggiudicato il premio di produzione nel 2009 e la partecipazione a Berlino 62 come opera inclusa tra i film in concorso; prima mondiale quindi per il film prodotto da Meiske Taurisia per la casa di produzione indonesiana Babibuta Film e diretto da Edwin a quattro anni di distanza da The Blind Pig Who Wants to Fly. Il regista Indonesiano, oltre che con lo stesso produttore, torna a lavorare con Sidi Saleh come direttore della fotografia e riproduce in un certo senso lo stesso caleidoscopio di colori del primo film; in entrambi i casi sogno, fiaba popolare e realtà diventano elementi impermeabili del racconto con un setting che in più di un momento ricorda il lavoro di Apichatpong Weerasethakul senza la stessa capacità di far esplodere il documentario in un contesto dove al contrario sembra prevalere un punto di vista surreale. Postcards from the zoo cerca di “liberare” lo spettatore dalla cronologia degli eventi con una struttura episodica e nidificata, legata per lo più al lavoro della memoria e alle connessioni che questa stabilisce con i desideri. Lana è abbandonata dal padre in una foresta; si avvicinerà alla vita di uno Zoo crescendo in mezzo agli animali e imparando il loro linguaggio, la loro storia originaria, le loro attitudini. Si separerà da quel mondo per seguire un prestigiatore, e finirà in una casa per prostitute dove tutto quello che muoverà le sue azioni avrà come riferimento una personalissimo bestiario zoologico. Edwin confonde costantemente i piani di lettura, costruendo volutamente un dispositivo palindromo dove la prospettiva del sogno è ovviamente reversibile. Ad una parte equilibrata tra documentario e fiaba, dove a tutti i costi si cerca una flagranza simbolica nelle posture e nei comportamenti degli animali, si sovrappone lo Zoo della prostituzione, mondo regolato da una progressiva privazione dell’elemento magico. In questa ricerca ossessiva della libertà del punto di vista, Edwin mette insieme delle vere e proprie cartoline che rischiano davvero una chiusura di tipo bozzettistico. L’unica possibilità di uscirne è lasciarsi andare al valore ipnotico della prima parte del film, dove la vita e le azioni degli animali sembrano in un certo senso bastare a se stesse e anche all’inquadratura. Al contrario, il tentativo di Edwin di trovare uno spazio liminale tra il sentimento della perdita e la realtà, non genera quasi mai uno scollamento dai confini del film, chiuso nella giustapposizione di una serie di immaginette belle solamente da vedere.