lunedì, Dicembre 23, 2024

Was bleibt di Hans-Christian Schmid – Berlinale 62 – Concorso

Benvenuti in famiglia. La casa è grande e accogliente, su due piani, le librerie abbondano, ampio giardino, cucina linda. C’è un pianoforte. In una delle stanze dei due figli, ormai cresciuti, campeggia ancora un poster sgualcito di Heroes (1977). Il figlio in questione, lo scrittore Marko (Lars Eidinger), ha un bambino di nome Zowie. Ma gli accenni bowiani finiscono qui. I protagonisti di Was bleibt prediligono vecchie canzoni tedesche e il film è innervato della musica discreta di The Notwist. In famiglia, dicevamo. Un padre, Günther (Ernst Stötzner) che sta vendendo la casa editrice – sai, adesso con gli eBook… – una madre, Gitte (Corinna Harfouch) depressa cronica da trent’anni e un fratello minore, Jakob (Sebastian Zimmler) dentista senza clienti. Marko si sta separando da Tine (assente), la madre di suo figlio, mentre Jakob ha avviato da poco una relazione stabile con Ella (Picco von Groote, presente). Siamo in autunno, e la famiglia si riunisce nella casa dei genitori sessantenni. Gitte ha una notizia: da due mesi non prende più psicofarmaci. Gli sguardi atterriti dei commensali non lasciano ben sperare, ma in fin dei conti le buone notizie latitano. Gli Heidtmann, sono destinati a un tragico Zerfall, e lo spettatore sa bene che questa caduta, questo crollo verticale, si consumerà nell’arco del week end. Sono le regole del gioco.

Con Requiem (2006), Schmid e il suo fido co-sceneggiatore Bernd Lange avevano già indagato le pieghe di una famiglia coesa e disfunzionale, partendo da una storia vera: quella della ragazza epilettica Annaliese Michel sottoposta a un calvario esorcistico dai genitori bigotti. Con Was bleibt, il duo imbocca una strada senza paletti e imbastisce una tragedia famigliare a tavolino, narrata con misura e con il consueto gusto del regista per la sottrazione. Questo significa che le mura della casa non diventano una pentola polanskiana in ebollizione, e i conflitti innescati dai fallimenti e dalle manchevolezze dei personaggi emergono passo passo, mediante interazioni private, senza il ricorso a scene madri e piatti volanti. Al massimo, ecco, uno spintone. Un flute lanciato a terra per stizza.

Finché la trama non prende un dosso, e sobbalza. Una persona – non diremo chi – scompare, e al gruppo di famiglia in un interno si sostituisce un altro immaginario, fatto di boschi setacciati dalla polizia, di capanne nel fitto della sterpaglia, di buio silvano e natura indifferente. Dal punto di vista narrativo, questo relativo colpo di teatro – ancora una volta: per sottrazione – è un azzardo notevole, e il film fatica a cambiare marcia e a risultare plausibile, e commovente, come tra le quattro mura di casa. Relativo, il colpo, perché il personaggio in questione avrebbe anche le sue buone ragioni per mollare tutto e darsi alla cupio dissolvi. Infine, dopo uno iato di qualche settimana, si scopre che questa scomparsa inspiegabile (sì, siamo dalle parti di Anna / Lea Massari) ha funto da Sacrificio per riportare un vago senso di armonia all’interno della famiglia…

Girato interamente con la camera a spalla e graziato da un cast strepitoso (su tutti, l’Eidinger di Alle anderen, 2009, e la sempre magnetica Harfouch), Was bleibt è mosso da ambizioni superiori ai mezzi. Schmid ha dichiarato di averlo imbastito a partire da un nugolo di ossessioni personali. Peccato che il dramma e l’ossessione restino sulla carta, sulle pagine dello script, e non riescano a spiccare il balzo emotivo sul grande schermo. Quello che resta, constata il titolo originale, è il bozzetto di un affresco mollato lì. Con tutta la furia e la disperazione in potenza.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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