Bene, stavolta parliamo di politica. Però niente scandali, niente aria di crisi, niente diverbi con la schiuma alla bocca. Abbandoniamo i centri popolosi e tuffiamoci nel verde Brandeburgo, il Land che circonda Berlino e il cui capoluogo è Potsdam. Ci sono paesi e paesini, in Brandeburgo, aperta campagna e qualche palude. Ci sono animali in via di estinzione come l’aquila urlatrice e bestie rare come i politici della CDU (la Democrazia Cristiana crucca), che in Brandeburgo è quasi sempre all’opposizione. Da quasi dieci anni il governo è rosso-rosso, con un’alleanza formata dai socialdemocratici dell’SPD e dagli ostalgici della Linke. Essere democristiano in Brandeburgo significa una condanna alla sconfitta, ed è proprio per questo motivo che Andreas Dresen, autodefinitosi “il regista dei perdenti”, ha deciso di tornare alle calcagna del signor Henryk Wichmann, classe 1978, buon cristiano eletto tra le fila della CDU e piazzato “in terza fila”, come specifica il titolo, nel consesso del Landtag, il parlamentino regionale.
Tornare alle calcagna, proprio così. Herr Wichmann aus der dritten Reihe è infatti una sorta di progress report su Herr Wichmann von der CDU (2003), che Dresen girò in occasione della primissima campagna elettorale di Henryk. Il primo documentario, della durata di 75 minuti, era uno dei dodici film televisivi della serie Denk ich an Deutschland, a cui parteciparono anche Peter Lilienthal, Dominik Graf, Doris Dörrie, Leander Haußmann e Fatih Akın. Piacque moltissimo, il contributo di Dresen, e quando nel 2009 Wichmann ha fatto il gran salto nel Landtag, il regista ha deciso di dare un seguito alla prima fatica, girando in un arco temporale che va dall’estate 2010 all’estate 2011. Un progetto ovviamente in digitale e girato con l’aiuto di una troupe che ha pedinato il giovane politico in tutte le occasioni pubbliche disponibili, arrivando a macinare un centinaio d’ore di girato. Messo ad asciugare in saletta di montaggio, questo capitolo due della saga di Herr Wichmann pesa un’ora e mezza e non ha un filo di grasso.
Parentesi d’obbligo su Andrea Dresen, l’unico regista formatosi sotto la DDR che sta riscuotendo un successo enorme, e meritato, nella Germania unita. I suoi film più importanti sono Nachtgestalten (1999), Catastrofi d’amore (2002), Un’estate sul balcone (2005, scritto da Wolfgang Kohlhaase), Settimo cielo (2009) e lo straordinario Halt auf freier Strecke, realizzato durante il progetto Wichmann. Dresen dà voce agli ultimi, siano essi proletari, anziani ancora vogliosi d’amore (fisico), giovani senza prospettive o malati terminali. E lo fa, ogni volta, con un pudore e un entusiasmo vitalistico che piallano le montagne. Se il cinema tedesco ha rialzato la testa negli ultimi anni è anche grazie alla sua filmografia solida e mai deludente, intrisa di storie autentiche ed estranea a certe velleità artistoidi ravvisabili in altri nomi importanti come Oskar Roehler o Ulrich Köhler.
Herr Wichmann aus der dritten Reihe attesta, con grande semplicità, come si possa filmare la politica senza annoiare né cadere nelle trappole del populismo o dello sguardo schierato. Dresen è notoriamente un uomo di sinistra, ciò non toglie che nel documentare gli spostamenti, le opinioni e le campagne di Henryk dimostri un rispetto, e una neutralità, assoluti. Certo, il signor Wichmann ha una carica interiore che lo rende “filmico”, un coacervo di goffaggine e conservatorismo stereotipico davvero irresistibile, eppure il documentario non lo mette mai all’angolo, non ridicolizza né lui né le persone con cui ha a che fare, siano esse elettori, colleghi di partito o illustri avversarsi politici. Il metodo Dresen consiste nel girare a fianco delle persone, l’esatto contrario del regista burattinaio di destini o moralista d’accatto. La sua è una vicinanza umile e curiosa, e se allo spettatore capita – spesso – di ridere e sorridere, questa risata non è mai maligna o a denti stretti. In questo senso, il cinema di Dresen è quanto di più neorealista e neoumanista si possa rintracciare nella Germania di oggi, grazie a questa coalizione di trasparenza e di intensità emotiva.
Il tuffo nel mondo di Herr Wichmann è un’immersione nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente quotidiano, tra scaramucce territoriali, treni che si fermano senza aprire le porte, raccolte di firme a quota 10.041 e la musica classica che accompagna i suoi tragitti in macchina su e giù per il Land. Dresen calca la mano solo in una scena, quella di una stramba parata – che celebra i cinquant’anni di un ex plotone della DDR – durante la quale si scatena un acquazzone. I militari restano impassibili, chi in posizione di saluto, chi a suonare le note dell’inno, tutti a cantarlo. Herr Wichmann canticchia e commenta basito, mentre va in scena l’anima tedesca.