Per il suo esordio nel lungometraggio di finzione, il regista nativo del Nordreno Westfalia nonché berlinese di adozione Stephan Lacant ha scelto una storia frocia. L’ha scritta insieme a Karsten Dehlem e l’ha girata in quel di Ludwigsburg, in Baden-Württemberg, con capitali svevi. Trattasi di una storia d’amore tra due poliziotti. Prima di spingersi oltre è necessario aprire una parentesi, anzi due, per spiegare l’importanza dell’ambientazione sveva e degli abbondanti danari svevi. Chi ha visto Jud Süß – Film ohne Gewissen di Oskar Roehler (2010) ricorderà il provino lampo di Ferdinand Marian, costretto a pronunciare la battuta “Der Württemberg ist reich”. Ebbene sì, il grande Land sud-occidentale tedesco non è solo ricco – quanto e forse più della Baviera – ma fino a pochi anni fa, prima dell’entrata in carica del governo regionale verde-rosso, sfidava la Baviera anche sul piano del conservatorismo, perdendo sì, ma di misura.
Gli svevi hanno fama di popolo avaro, borghesissimo, maniacale, con i nani in giardino e un groviglio interiore che nessun lettino dello psicanalista sarebbe in grado di dipanare nell’arco di eoni. E se la Baviera profonda ha già detto la sua tanti anni fa in tema di orientamento sessuale e “Heimatfilm” – con Scene di caccia in Bassa Baviera (1969) di Peter Fleischmann, l’esatto contrario di un film accomodante – il Baden-Württemberg accusa un forte ritardo in questo campo, anche se non manca una ricca cinematografia attenta ai “tic” locali. Citiamo almeno la talentuosa Maren Ade e il suo film Der Wald vor lauter Bäumen (2003). Questo per dire che a un film, come questo, cofinanziato dalla televisione sveva SWR, non mancano certo i fondi, e che un film svevo che parli di froci in amore equivale a una rivoluzione copernicana. Ancor più radicale se lo si ambienta, come fa Lacant, tra nuclei famigliari impeccabili e scuole di polizia. Con tutto l’immaginario da brivido che porta con sé l’eins zwei Polizei.
Il canovaccio è di una semplicità disarmante: Marc Borgmann (il mascellone Hanno Koffler), giovane neo-padre, si lascia sedurre dal collega Kay Engel (Max Riemelt, più in stile Terence Hill). Da quel bacio galeotto con sega in piena foresta, sotto una tenue pioggerella e col fiato accelerato dal jogging, comincia la ‘caduta libera’ del titolo. È amore, e che amore!, però Marc è nell’armadio e Kay alla lunga non sopporta di essere marginalizzato. Motivo per cui la verità filtra, esplode e son dolori – perché siamo tra sbirri nel Baden-Württemberg, là dove la gente è perbene e fa le cose perbene. Freier Fall avrebbe gli ingredienti per diventare una sorta di Brokeback Mountain teutonico, a cominciare dalla coppia di protagonisti attraenti e disinvolti fino alla regia di Lacant, coerente nel seguire Marc senza mai fiatargli sul collo o scadere nel voyeurismo birbante. Purtroppo, l’ottima confezione è rovinata da una sceneggiatura fiacca e prevedibile, che sciorina dialoghi da fiction. E sebbene il film possa sperare in un discreto successo grazie al “concept” e all’attrattiva dei due figaccioni protagonisti, è difficile che riesca a superare i confini tedeschi. Proprio perché gran parte del suo fascino deriva dall’ambientazione sveva, dal sottotesto culturale. Dopo i cowboy, i poliziotti? E perché non gli operai della Ruhr? Aridatece i Village People piuttosto.