Saul Williams, nel nuovo film di Alain Gomis presentato in concorso a Berlino 2012, è l’unica figura a non farsi trainare dal flusso performativo della Dakar ricostruita dal regista di origini Senegalesi, eppure Aujourd’hui sembra vivere in quella terra di mezzo tra l’esperienza nomade di El Hadj sopreso nella terra spaccata in due de L’Afrance e il propellente che ha animato la carriera dello stesso Williams nella sua particolare aderenza ai modi della poesia drammatizzata, dello spoken word e del poetry slam. Gomis si serve dell’incedere ritmico di un rituale di passaggio per liberare alcune forme del linguaggio musicale tradizionale e farle reagire con l’intrusione free-form dell’immagine documentale. Satchè (Williams) viene esiliato dalla sua comunità poco prima del momento che dovrà sancire la sua condanna a morte; non è evidentemente importante per Gomis spiegarcene i motivi, quanto elaborare una complessa macchina del senso costituita da una partitura biforcata tra ritmo e parola, musica e colore, reportage e teatro popolare. Ambizione quasi Schroeteriana quella del regista franco-senegalese, almeno nel tentativo di perseguire un linguaggio apolide che sia in grado di raccontare per stratificazione, le sovrimpressioni di una cultura. Se il passaggio dalla vita alla morte di Satchè in fondo non termina mai, arrivando a penetrare il territorio del sogno, il tentativo di Gomis nel restituirci una Dakar gravida delle stesse contraddizioni negative che attraversavano L’Afrance, ovvero un’Africa posticcia e re-immaginata dalla cultura Francese, sembra a un certo punto cortocircuitare con una forma che diventa vero e proprio “impianto visivo”, bozzetto intenzionalmente gettato dalla finestra ma che purtroppo rientra dalla porta principale nell’ingombrante presenza dei numeri maggiormente drammatizzati; quando nel cammino di Satchè irrompono immagini “en directe”, spiace che queste non riescano a dialogare con tutto il resto.