Miranda July mette nuovamente in scena se stessa nel triplo ruolo di interprete, Metteur en scène, performer e artista visuale; The Future ha tutti gli ingredienti del suo cinema da camera, intimo e antiepico, regolato sulla riduzione dell’elemento emozionale ad una gestione playful dello spazio. Sembra esserci tutta una retorica narratologica a fare da propulsore al suo cinema, sin dalle dichiarazioni a mezzo stampa che si riferiscono alla costruzione del multiverso dei suoi sogni come una realtà da cui è possibile entrare ed uscire a piacimento, una piccola science fiction dei sentimenti che investe in modo sin troppo esplicito tutta la scrittura del suo ultimo film. Miranda July è Sophie, ma anche la voce prestata a Paw Paw, gatto salvato al destino della morte d’accordo con Jason, il suo compagno, e narratore impossibile di questa piccola riflessione su di una paralisi affettiva. Dove risiede allora il cinema della July? Nel whit di derivazione Alleniana che attraversa tutti i dialoghi, nell’improbabilità goffa e disfunzionale dei corpi, in quell’intelligenza nerd che sta sopra tutto quanto, oppure in quell’attenzione così esplicita all’arte tra figurativo e performativo, agli oggetti del quotidiano che si confondono con un background artistico dichiarato a gran voce ogni tre inquadrature, come se questa supposta surrealtà sbattuta in faccia allo spettatore si riferisse ad un milieu concreto e sin troppo visibile, o ancora nei corpi che diventano essi stessi parte di questo piccolo arredamento espressivo, come il vecchio che irrompe nello spazio escheriano o la stessa Miranda / Sophie che muta all’interno di una t-shirt-crisalide in un s/oggetto d’arte performativa? Dovunque sia, questa traccia di cinema, è ben sigillata in un universo chiuso e autoctono, dove l’accesso potrebbe essere consentito a chiunque a patto di riuscire a trovar spazio in questa ingombrante e inerte sarabanda di segni.