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Cannes 64 – Concorso – La piel que Habito di Pedro Almodovar (Spagna, 2011)

Ospite abituale della Croisette, Pedro Almodovar tinge di nero il melodramma, nella fiaba horror La piel que Habito, storia di vendette incrociate e di identità mescolate, condita da un una buona dose di sadismo, che ritocca toni e sfumature del suo cinema, ma ne lascia pressochè intatti gli ingredienti principali. Con uno sguardo divertito al cinema di Fritz Lang e ai film di Boris Karloff, il regista madrileno, almeno nelle intenzioni, congiunge in una strana mistura tocchi noir, spirito surreale e amor fou, adattando per lo schermo la Tarantula di Thierry Jonquet. Quel che ne risulta è un’opera ibrida (ma, trattandosi di Almodovar, non sarebbe potuto andare diversamente), convincente agli estremi, ma piuttosto debole nella parte centrale, in cui flashback e ritorni al presente sembrano amalgamarsi a fatica, e il dipanarsi dell’intricatissimo intreccio lascia in fondo piuttosto freddi. Ossessionato dal suicidio della moglie (che lo tradiva abitualmente con un losco figuro), rimasta sfigurata in un terribile incidente, il dottor Robert Ledgard (Antonio Banderas) si dedica esclusivamente alla cura della figlia Norma, affetta da una serie di disturbi psichici che le impediscono qualsiasi relazione stabile con il mondo esterno. Persuaso del fatto che la figlia sia stata violentata durante una festa, Robert sequestra Vicente, il presunto colpevole, sottoponendolo ad una serie di torture di cui il malcapitato non comprende nemmeno la ragione. Quando Norma, colpita da una sorta di mania di persecuzione, si lancia dalla finestra dell’ospedale, Robert, in preda alla più cupa disperazione, ordisce la sua terribile vendetta e, chiamati a raccolta alcuni colleghi nella sua villa-clinica (il laboratorio dello scienziato pazzo dei film classici), sottopone Vicente ad una vaginoplastica, dando il via ad una serie di operazioni  che, nel giro di qualche anno, trasformeranno il giovanotto in una splendida ragazza. Di fronte alle timide obiezioni (e a qualche tentativo suicida) di Vicente (poi Vera), Robert si troverà costretto a rinchiudere il malcapitato nello scantinato, facendone la cavia di una serie di strampalate ricerche. Ultima delle trovate del medico sarà la modificazione genetica della struttura della pelle umana, che verrà trasformata in una soffice, ma solidissima corazza, in grado di resistere a punture ed escoriazioni. Peccato che, come la solerte governante (Marisa Paredes) non potrà fare a meno di notare, il volto che Robert ha scelto per la sua nuova creatura sia straordinariamente somigliante a quello della moglie morta. Naturalmente da qui in poi il cortocircuito di sentimenti ed emozioni, tra desideri di vendetta non del tutto sopiti, crisi di identità e passioni travolgenti, sarà inevitabile e il povero Robert si ritroverà completamente sedotto dalla bella Vera, passata da prigioniera a padrona di casa nel volgere di poche ore. Un lieto fine così blando non sarebbe certamente nelle corde del cinema almodovariano, dove la stabilità può essere soltanto un intermezzo passeggero e la tranquillità domestica l’illusione di un attimo. E come ben presto Robert scoprirà a proprie spese, la donna che visse due volte avrà in serbo per lui qualche sorpresa.

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