martedì, Novembre 5, 2024

Michael di Markus Schleinzer – Cannes 64 – Concorso

La banalità del male ha il volto di un impiegato solerte e puntuale nel primo film di Markus Schleinzer, approdato alla regia dopo essersi fatto le ossa con le lezioni di violenza domestica di Michael Haneke (di cui è stato direttore del casting). Tutte le sere Michael torna dall’ufficio e scende nello scantinato insonorizzato, apre una porta blindata e si affaccia nella stanza dove un bambino lo aspetta sgranocchiando cibi confezionati, o scrivendo lettere che mai arriveranno a destinazione. E’ il sorriso mesto di un bimbo cui è stata sottratta ogni possibile felicità  a rivelarci la monotonia glaciale della convivenza con un carceriere pedofilo, capace di indossare in pochi minuti i panni dell’assicuratore modello. Così, dietro finestre sempre chiuse e silenzi rivelatori, si consuma un rituale quotidiano di abusi e violenze, celate sotto una maschera di ipocrisia casalinga che non lascia nulla al caso, nel tentativo di soggiogare la propria vittima, prevenendone ogni possibile insubordinazione. La macchina da presa resta muta di fronte ad un orrore calcolato nei minimi dettagli e comunque al di là di ogni possibile comprensione, limitandosi a registrare i gesti di cadenzata follia che scandiscono le giornate di un uomo che, pur rimanendo sempre al centro della scena, è inevitabilmente destinato a rimanere uno estraneo.  Di fronte a Michael, presentato in concorso al festival di Cannes e ricco di analogie con la vicenda di Natasha Kampusch, sembra inevitabile chiedersi se tocchi a un film e al suo regista esprimere un giudizio di carattere morale su una condizione di intollerabile violenza (più intuita che mostrata), o se questo compito possa essere delegato interamente allo spettatore. Al di là delle possibili risposte e del comprensibile fastidio per una certa ambiguità di fondo, a sconvolgere è forse soprattutto la definizione progressiva del rapporto fra Michael e il piccolo Wolfgang, che soltanto a poco a poco sembra divenire conscio del proprio status, trovando la forza di ribellarsi ad un carceriere cui la sorte riserverà comunque un amaro finale di partita. Tuttavia, malgrado conservi un proprio equilibrio interno, trasmettendo una sensazione di disagio che fatica a dileguarsi (grazie anche ad un finale almeno parzialmente aperto), l’opera prima di Markus Schleinzer non sempre risulta convincente nella costruzione drammatica, lasciandoci in fondo con l’impressione che la monotonia della narrazione, per quanto ricercata, nasconda in fondo un certa povertà di forme e di contenuti.

Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi è nata a Milano nel 1987. Laureatasi in filosofia nel 2009 è da sempre grande appassionata di cinema e di letteratura. Dal 2010, in seguito alla partecipazione a workshop e seminari, collabora con alcune testate on line.

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