L’Enfant è ormai cresciuto in questa sorta di seguito ideale della pellicola che, nel lontano 2002, valse ai fratelli Dardenne la seconda Palma D’oro della carriera. Eppure quasi nulla sembra mutato nel dipanarsi della relazione fra bambini troppo spesso soli e genitori ingenuamente incoscienti o, forse, solo tristemente indifferenti. Soltanto da bambini possiamo riporre nei genitori quella sconfinata fiducia che è in grado di oltrepassare in un balzo ogni evidenza sfavorevole, trasformando adulti insipidi e pigri negli eroi che popolano le nostre giornate. Le gamin au velo, presentato in concorso al Festival di Cannes a distanza di due anni da Il matrimonio di Lorna, comincia da qui, dalla ricerca affannosa e incontenibile di un padre scomparso (Jérémie Renier, non a caso), senza concedersi il lusso di un ultimo abbraccio, e della bicicletta che questi ha portato con sé, simbolo di un legame per cui soltanto il piccolo Cyril sembra disposto a lottare con tutte le proprie forze, ribellandosi senza calcoli di sorta ad ogni forma di autorità. Anche quando scoprirà che il padre ha di fatto rinunciato a prendersi cura di lui, tanto da vendere persino la sua bicicletta pur di racimolare qualche soldo in più, Cyril, prima di permettere a se stesso di andare oltre, non esiterà a tornare da lui, accantonando in un istante ogni rancore di fronte ad un genitore costitutivamente incapace di guardare al di là di se stesso. La maestria dei Dardenne è concentrata qui, nella capacità di illuminare per piccoli tocchi un palinsesto di caratteri e di emozioni che si riverberano per tutta la pellicola, rivelandocene con un colpo d’occhio le chiavi di volta. Tuttavia, se il film non tradirà le aspettative di chi ama il cinema dei fratelli belgi, ne Le gamin au velo sembra pressoché assente ogni forma di evoluzione linguistica e tematica rispetto alle opere precedenti, con la macchina da presa che insegue i movimenti dei personaggi, pedinandoli a brevissima distanza e cogliendone ogni gesto e ogni smorfia, e con la consueta freschezza che non lascia spazio a divagazioni di sorta. È una corsa senza fine quella di Cyril e della sua bicicletta, presto ritrovata e poi di nuovo perduta, una fuga interrotta soltanto dall’incontro con una serie di genitori alternativi: da un lato la dolce e premurosa Samantha, pronta a sconvolgere la sua routine quotidiana per accoglierlo, dall’altro un delinquentello che lo addestra ai furti rapidi, donando in cambio soltanto una presunta benevolenza. Cyril finirà naturalmente nei guai, accettando perfino di stordire e derubare un inerme postino pur di garantirsi le simpatie del suo cattivo maestro. Eppure come scriveva Truffaut, uno dei pochissimi cineasti capaci di rendere giustizia ai bambini sullo schermo (e come i Dardenne sembrerebbero pronti a sottoscrivere), non esistono bambini cattivi, ma soltanto figli di cattivi genitori, e proprio da qui avremmo tutti il dovere di ripartire.