Di fronte a un’opera cinematografica dal carattere militante risulta naturale chiedersi quale sia il confine fra considerazione del prodotto artistico in quanto manufatto a sé stante e la necessità di valutarlo in rapporto al suo valore di testimonianza civile. “Après la bataille”, dell’egiziano Yousry Nasrallah, presentato in Concorso a Cannes 2012, pone questo tipo di interrogativi. Ambientato nel periodo immediatamente successivo agli scontri di Piazza Tahir (febbraio 2011), il film è una fotografia in presa diretta del riconfigurarsi dei rapporti sociali all’interno della comunità de Il Cairo, in seguito all’accedersi della miccia rivoluzionaria. In un’opera modesta dal punto di vista visivo, giocata per lo più sulle contrapposizioni verbali fra i protagonisti dell’opposte fazioni, Nasrallah isola alcuni caratteri, che diventano simbolo delle diverse anime della società egiziana contemporanea, in bilico fra modernizzazione e ritorno alla tradizione. Lungi dall’unire i giovani in cerca di uguaglianza e giustizia con i sottoproletari che vivono di turismo e allevamento, la rivoluzione sembra, almeno in parte, rimarcarne le distanze. Mentre si organizzano comitati, discussioni e marce pubbliche per orientare il futuro politico del paese, la crisi economica affama i gruppi sociali più poveri, rimasti disoccupati e privi delle risorse necessarie per sopravvivere. La fragile condizione di famiglie prive dei più elementari mezzi di sostentamento rappresenta un terreno fertile per gli speculatori e per coloro che vorrebbero impadronirsi del potere un tempo saldamente detenuto dal vecchio Mubarak. Come al solito “bisogna che tutto cambi perché nulla possa cambiare”. Eppure “i rivoluzionari non hanno combattuto per questo”, grida a gran voce l’eroina della storia, una giornalista dei quartieri alti, che si innamora di un allevatore di cavalli che vive con moglie e figli nella zona delle piramidi. Proprio al risentimento dei pastori ha attinto il governo di Mubarak per contrastare la spinta rivoluzionaria, facendo leva sul risentimento di chi dal cambiamento non si aspettava altro che un peggioramento delle proprie condizioni di vita. Avendo fiancheggiato il governo negli scontri di Piazza Tahir, Mahmoud si trasforma in un reietto, osteggiato dai compatrioti quale traditore. La colpa ricade sui suoi figli, oggetto dello scherno dei compagni di scuola, mentre l’utopia di una ricomposizione pare sempre più distante. Eccedendo nello schematismo concettuale, il regista fa del controverso, e in gran parte inespresso, rapporto fra Reem e Mahmoud, l’asse su cui si costruisce la narrazione, facendo dipendere dall’esito del loro dialogo la possibilità stessa di un nuovo Egitto. Per realizzare “Après la Bataille”, il regista ha interrotto una precedente posizione, colto dall’urgenza di produrre un’opera dal forte carattere civile, in cui le vicende finzionali fossero al servizio della rappresentazione di uno scontro fra ideali ed esigenze di vita. Progettando di realizzare un’opera che coprisse il periodo compreso fra la caduta del regime e le elezioni, Nasrallah ha preferito poi fermarsi al massacro degli studenti di fronte alla sede della televisione. Il finale è una corsa nella notte dall’esito incerto, che nella rinuncia a ogni possibile soluzione sembra riprodurre la condizione di sospensione che ancora domina l’Egitto contemporaneo.