Mentre la stampa made in U.S.A. inneggia già al capolavoro sembra lecito chiedersi se sono sufficienti atmosfere coheniana, pioggia battente (qui il copyright è di Ridley Scott) e una serie di volti azzeccati per toccare il sublime. “Killing them softly”(Cannes, Concorso) è un thriller verboso e convincente solo a tratti, che si colloca nell’America preobamiana, con l’intento, subito scoperto e palesato nella conversazione finale, di fare del vuoto morale dei protagonisti lo specchio del disfacimento di una nazione. Il titolo non rimanda alla celebre canzone, ma all’invito del killer Brad Pitt, che preferisce uccidere con dolcezza (ovvero con una raffica di pallottole nel cranio) le proprie vittime. In un paesaggio di iperviolenza, pestaggi e bische clandestine, un assassino metodico ha pur sempre il suo fascino. Tratto dal romanzo omonimo di George V. Higgins, il film vorrebbe essere un’allegoria della crisi del capitalismo, attraverso una parabola malinconica e sanguinolenta, dallo stile volutamente discontinuo. L’ostinata ricerca dell’effetto e il tentativo, fin troppo ribadito, di far combaciare la trama con la riflessione socio-politica sulla contemporaneità rappresentano i limiti più consistenti di un’opera suggestiva, ma confusa e ridondante. Il selvaggio west di “The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford” lascia il posto a una New Orleans post-apocalittica, teatro dei regolamenti di conti fra bande rivali. L’accumulo di personaggi sgradevoli (fra i quali spicca James Gandolfini, assassino seriale obeso e alcolizzato), la violenza come atto gratuito, il cinismo di chi non ha più nulla in cui credere sono gli elementi che dominano un film dall’anima plumbea. La speranza è affidata soltanto alle parole, che giungono come sottofondo dai minuscoli schermi televisivi, dell’allora senatore Barack Obama, che parla di un’America diversa, fatta di uguaglianza e di solidarietà. Un messaggio sottile che fatica a insinuarsi fra le pieghe di esistenze votate alla brutalità, per le quali tutto sembra ruotare attorno alla ricerca spasmodica di consolazioni materiali (denaro, sesso, alcool). “L’America è una paese di uomini soli”, si conclude sbrigativamente nel finale, dopo che il killer Jackie Cogan ha concluso il lavoro. Ad alcuni anni dall’elezione di Obama, nel pieno della crisi economica globale, “Killing them softly” si ritrova a essere al tempo stesso un’opera sulla chiusura del futuro e delle aspettative, qui inghiottite dalla pioggia di New Orleans.