1969, a Lately, Florida. Alligatori famelici e caldo torrido. Razzismo diffuso e quarantenni platinate in cerca di compagnia. Estetica kitsch e regia raffazzonata per “Paperboy”, il nuovo film di Lee Daniels, noto per il precedente “Precious”. Anche stavolta, adattando il romanzo di Pete Dexter, il regista americano non si fa mancare nulla, accumulando stereotipi e disastri di varia natura, sconfinando nel volgare e riuscendo perfino a trasformare la divina (e plastificata) Nicole Kidman in un emblema del trash. Misteriosamente inserito nel carnet del Concorso cannense, il film è stato subito sottoposto al fuoco incrociato della critica internazionale, mentre la proiezione destinata alla stampa si è conclusa con una valanga di fischi e di ululati. Eppure, per qualche inspiegabile ragione, “Paperboy” emana un fascino perverso da melodramma a tinte fosche, accumulando personaggi parodistici e gettando una luce tetra sul paesaggio assolato di un’America tradizionalista e sonnolenta. Un cacciatore di coccodrilli, che risponde al pomposo nome di Hillary van Wetter, è accusato di un brutale omicidio e subito imprigionato. Per il macellaio, che vive in stile aborigeno, la destinazione obbligata sembra essere la sedia elettrica. Su uno sfondo di brutalità e irredimibile ignoranza, la sbrigativa inchiesta che precede il processo non presta grande attenzione alle prove, preferendo liberarsi in tutta fretta del potenziale assassino (un folle John Cusack). Niente paura, van Wetter non rimarrà solo. Ward Jensen (Matthew McConaughey che, dopo “Killer Joe” di William Friedkin, presentato lo scorso anno a Venezia, torna in un ruolo ironico e dissacrante), giornalista originario di Lately, arriva nella città natale in compagnia del collega Yardley Acherman (David Oyelowo), un uomo di colore con cui intrattiene una relazione clandestina. A lui si uniscono il fratello Jack (Zac Efron) e Charlotte Bless (Nicole Kidman), fascinosa e colorata femme fatale di provincia, nonché corrispondente preferita dei carcerati di mezza Florida, con cui si scambia lettere di fuoco. Dopo aver eletto van Wetter a suo principe azzurro, la donna diventerà la massima sostenitrice della sua innocenza. Una banda di tal genere sembrerebbe sufficiente ad affondare qualsiasi pellicola, tanto più che all’impresa concorrono sequenze imperdibili, quali il primo incontro di Cherlotte e Hillary in carcere o lo speciale trattamento cui Charlotte sottopone Jack, semisvenuto dopo l’incontro ravvicinato con un branco di meduse. Come se non bastasse la trama deraglia in modo incontrollabile, fra ellissi temporali, siparietti provocanti e storie parallele che si innestano sul filone principale. Colori pastello, abiti sgargianti e canzoncine zuccherose riempiono la cornice. Fra tanto disordine, lo spunto di riflessione sembra essere offerto dal contrasto fra l’esigenza di verità che anima i protagonisti e le conseguenze catastrofiche che ne derivano. Nel teatro del mondo l’etica dell’intenzione produce spesso danni incalcolabili in partenza. Naturalmente l’idea si perde fra battute provocanti e coccodrilli squartati. Eppure, alla fine, qualche suggestione rimane. Un film per chi non ama le mezze misure, da amare alla follia o da detestare fin dal primo istante.