Legato alla Croisette fin dai tempi de “L’imbalsamatore” (Quinzaine des Réalisateurs, 2002), dopo il passaggio trionfale di “Gomorra” (2008), Matteo Garrone torna a Cannes con “Reality” (Concorso), specchio grottesco di una cultura televisiva elevata a modello assoluto. La Napoli sporca e pericolosa della precedente pellicola si trasforma nel teatro dove si consuma il dramma farsesco di un personaggio in cerca d’autore, attorniato da una corte di bambini urlanti, vecchi arraffoni e miserabili. Il dissolvimento della ragione genera mostri elevati a figure mitologiche da una civilta’ senza eroi. L’ironia e l’ostentazione degli eccessi per mettere a nudo la vacuita’ dei nostri tempi. Questa la chiave d’accesso di Garrone, in un film ricco di intuizioni visive, sorta di apologo tragicomico sull’esistenza traballante di un individuo travolto dall’(in)successo. Luciano pescivendolo con verve comica, che si arrabatta vendendo robot da cucina sottobanco, e’ spinto dai figli a presentarsi ai provini per il Grande Fratello. Convinto di aver impressionato favorevolmente la giuria e di essere ormai a tutti gli effetti un concorrente, Luciano vedra’ il mondo con occhi diversi. Clienti e vicini sono spie inviate da “quelli della tv” e il fortuito incontro con Enzo, mitico fuoriuscito dalla casa, diventa la strada per il successo assicurato. Luciano si sbarazza della pescheria e trascorre i suoi giorni in febbrile attesa, donando a chiunque capiti mobili e cianfrusaglie, ostinatamente convinto che l’accumulo incondizionato di “buone azioni“ smuovera’ i cuori dei responsabili di rete. E’ l’esistenza stessa di Luciano il reality show cui assistiamo: la finzione elevata a regola di vita per fare buona impressione, l’ipocrisia per celare buchi e magagne, i soldi per sistemare la casa, per non fare la “figura dei pezzenti”. In una societa’ dove tutti ambiscono ai 15 minuti di celebrita’ della profezia warholiana, il timore per la violazione della propria privacy si trasforma nel suo contrario, nel disperante desiderio di essere – almeno per un istante – guardati. Garrone volutamente esagera, rende il suo protagonista folle per l’attesa, come i soldatini del “Deserto dei Tartari”. Lo traveste da drag queen e lo circonda di un carnevale di figurine obese e sdentate. Un piano sequenza ci mostra i candidati in attesa dei provini, una folla eterogenea di ragazzine seminude, prestigiatori e travestiti, pronti al primo segnale a esibire gioia ed entusiasmo. Tuttavia, pur nella ricchezza delle immagini e della partitura dialogica, il pericolo è di perdersi nell’annedottica, nell’accumulo fine a se stesso delle scene che illustrano la perdita di ogni senso di realtà da parte di Luciano, sempre piu’ confinato in un mondo di fantasia. La seconda parte non aggiunge molto alla prima, rimanendo di un personaggio ridotto ormai a una macchietta.