Quasi un dramma da camera ambientato tra le pareti arboree dei boschi bielorussi, In The Fog utilizza uno scenario bellico non per raccontare le imponenti scosse epiche della Storia ma come lente magnificante dell’animo umano, strumento di esplorazione accurata dei comportamenti del singolo per lasciare emergere un personaggio archetipico, una sfaccettatura iconica della nostra natura da ognuno dei propri tre protagonisti. Durante il Secondo Conflitto Mondiale, nella Russia rurale assediata dai tedeschi, due membri della resistenza hanno il compito di rintracciare e giustiziare un terzo, liberato dai tedeschi dopo l’impiccagione di altri tre partigiani e per questo accusato di tradimento della causa. L’incombente presenza del nemico, i pregressi legami di amicizia e il continuo traballare dei rapporti di fiducia incanaleranno gli avvenimenti verso sviluppi imprevisti, e i tre uomini finiranno inghiottiti nella nebbia degli eventi periferici e sconosciuti della Guerra, rivelando a noi soli spettatori la forza simbolica del loro incontro. Loznitsa adatta un romanzo di Bykov attraverso una messa in scena granitica e un incedere lento ma implacabile: solo 42 stacchi di montaggio, e una linea retta cronologica intersecata sostanzialmente da tre flashback, uno per ogni protagonista, con la camera adesa ai personaggi e in pazientissima attesa di una reazione, di uno scambio di battute, di una svolta nella vicenda. Ritratti in una fotografia bruna e materica, i tre uomini al centro del film, resi nudi e inevitabilmente complici dalla tragica precarietà del contesto, si danno il cambio in dialoghi di coppia misurati e pregnanti in ogni parola. La rarefazione dell’azione, per certi versi obiettivamente eccessiva, punta a conferire un risalto esponenziale ad ogni gesto compiuto, così da renderlo il tratto di definizione di un’intera esistenza messa alla prova. Il continuo nascondersi o strisciare per sfuggire al nemico, o il trascinare a spalla un cadavere come una croce, o infine, appunto, essere trascinati da un compagno come dagli eventi e dalle apparenze, assurgono ad atti archetipici che inquadrano i personaggi in una trinità del conflitto umano: il codardo, il santo, l’emotivo, ognuno in definitiva trattato con uguale empatia e comprensione. Appesantito da vuoti e sequenze di raccordo non sempre efficaci, Il film di Loniznitsa riesce indubitabilmente a configurarsi come una parabola efficace e dall’afflato universale.