Vedere un film di Pablo Larrain e’ aprire una finestra sul mondo. Confinato nella pur prestigiosa cornice della Quinzaine de Realizateurs, il regista ci regala un altro tuffo nella storia del Cile contemporaneo, paese che sembra ancora portare impresse le stigmate della dittatura. Rispetto al precedente Post Mortem, che affrontava con sguardo obliquo la vicenda della morte di Allende e dei tumultuosi giorni che le seguirono, No si colloca su un piano piu’ decisamente politico, mescolando alla narrazione finzionale, immagini e filmati di repertorio. Gael Garcia Bernal e’ un giovane pubblicitario rampante, figlio di un esiliato politico, ma immerso nella cultura pop di matrice statunitense. Libero e’ soltanto il nome di una bibita, uno dei tanti prodotti per cui René costruisce ad arte una campagna, presentandola agli acquirenti con una serie di immancabili slogan autopromozionali. Ma siamo in Cile ed e’ il 1988: per legittimarsi agli occhi della comunita’ internazionale, Augusto Pinochet ha deciso di bandire un referendum sulla prosecuzione stessa del suo mandato. Si vota per il Si, perche’ il generale rimanga sulla sua poltrona proseguendo il cammino di progresso su cui ha lanciato il paese, o per il No, perche’ le forze del male prevalgano, distruggendo la concordia sociale. L’esito pare scontato, la votazione una truffa imbastita ad arte per zittire l’opposizione recalcitrante. Processi farsa, esili, sparizioni non sono evidentemente bastati. Sul canale nazionale al fronte del No, una ridda di partiti litigiosi, sono concessi 15 minuti quotidiani, durante la notte per lo piu’. Al faro della nazione, con qualche stratagemma, e’ consegnato tutto il resto. Coinvolto suo malgrado dagli uomini del No, René avra’ come avversario il proprio capo, rimasto fedele alla dittatura, e riuscira’ a ribaltare la cupa e mortifera campagna predisposta in precedenza a suon di jingle, aerobica e immagini spensierate che inneggiano a un futuro di liberta’ e di gioia. Non la memoria delle torture e dei rapimenti rendono la democrazia un prodotto ben piazzabile sul mercato, ma un immagino caramellato da soap opera, che fa imbestialire i puristi della politica, ma riesce nell’intento di minare le certezze del campo avverso. A poco a poco, la cronaca di una vittoria annunciata, si trasforma in un corpo a corpo politico, in una battaglia fra pubblicitari e forme della comunicazione, al di sotto dei quali si agitano gli ideali di una nazione in trasformazione. Plagi, colpi bassi, furti di idee e minacce non scoraggiano il manipolo di creativi che non temono gli eccessi e le censure. Fanno quasi sorridere i maldestri tentativi delle forze governative di mostrarsi accattivanti e gioviali di fronte a un pubblico spaventato e silenzioso. La crescita delle esportazioni non bilancia liberta e democrazia, ammette sconsolato un pinochettiano doc, preoccupato che lo smagliante sorriso del dittatore in abiti civili non basti a placare l’onda di entusiasmo generata dai giovani turchi dell’industria pubblicitaria. E’ un trionfo: a sorpresa, il 55.99% dei cileni e’ per il No. L’ambita affermazione internazionale del generale si trasforma nella morte di un regime di violenza e di sopraffazione. Come sempre non c’e’ retorica ma sottile ironia, nello sguardo di Larrain, che congeda il suo personaggio – giovanotto dall’aria ambigua, padre e marito di un’attivista politica che l’ha abbandonato, attento osservatore di un mondo che non sente appartenergli fino in fondo – ricollocandolo nella sua esistenza quotidiana quando, dopo la vittoria, allontanatosi con il figlio nella notte in tumulto, torna al suo lavoro, ricominciando a fabbricare spot di cartapesta.