domenica, Dicembre 22, 2024

Cappuccetto rosso sangue di Catherine Hardwicke (Usa, 2011)

Le fiabe, come ci hanno insegnato, sono archetipi che dovrebbero aiutarci a distinguere il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che non lo è, così che, una volta adulti, tutto risulti più chiaro ai nostri occhi. Lo sapeva bene Charles Perrault uno dei trascrittori della fiaba di Capuccetto Rosso, insieme ai fratelli Grimm, che nella sua versione non beneficiava neanche di un lieto fine ma soltanto di una lezione morale. Certo adesso le cose sono cambiate rispetto al XVII secolo e soprattutto è cambiata la nostra percezione del bene e del male nella letteratura e nel cinema; Twilight vera ultima fiaba postmoderna ci ha fatto vedere le cose sotto una prospettiva nuova, quella nella quale sono i malvagi a poterci proteggere fino addirittura a concederci il privilegio di diventare come loro. E questo lo sa bene Catherine Hardwicke che, con alle spalle 2 centratissimi film indipendenti (Thirteen e Lords of Dogtown) nel 2008 diresse  il primo, e meglio riuscito, episodio della saga scritta da Stephanie Meyer. Nelle sale ora Cappuccetto Rosso Sangue, ultima fatica della regista texana coprodotto con Leonardo Di Caprio, un’elegante e scenicamente suntuosa favola gotica moderna, che, memore della lezione di Twilight, racconta la storia di Valerie che della innocente fanciulla non ha niente (e che non ha tratto dalla morale di Perrault nessun insegnamento), ma che corre per i boschi non facendosi scrupoli a sacrificare piccoli animaletti coerente alla sua natura di anti eroina in un piccolo villaggio medievale sul quale incombe la maledizione di un lupo mannaro pronto a seminar terrore nelle freddi notte di un inverno senza fine. La bella Valerie (Amanda Seyfried), da sempre innamorata dell’aitante Peter (Shilou Fernandez) è però promessa al mite Henry (Max Irons, rampollo della coppia dorata del cinema inglese Jeremy Irons e Sinead Cusack), ricco maniscalco. Quando il terribile lupo mannaro uccide la sorella maggiore di Valerie il paese si mobilita in una caccia spietata alla bestia che si interrompe con l’arrivo al villaggio di Padre Solomon (Gary Oldman) un sinistro giustiziere con il compito di aprire bruscamente gli occhi degli abitanti raccontando loro che il male non è per forza identificabile con una fiera sanguinaria, letale ma distante, ma che può trovarsi nelle nostre case, nei nostri vicini, nei nostri amici e nella persona che ci vive a fianco. Si instaura così un meccanismo di stampo classico che vuole tutti possibili colpevoli e nel quale nessuno sembra più essere quello che era a cominciare dalla madre di Valerie (Virginia Madsen) moglie di un uomo (Billy Burke noto al grande pubblico come il padre di Bella nella saga di Twilight) all’apparenza debole e remissivo, dalla nonna interpretata da una affascinate e quanto mai dark Julie Christie, personaggio a metà fra una sciamana e una strega della tradizione nordica, ai 2 uomini della vita di Valerie, Peter ed Henry, che assumono connotati quasi rapaci e violenti. Una scenografia abilmente curata, colonna sonora indie-rock e il fascino unconventional di Amanda Seyfried, conturbante cappuccetto rosso che si aggira seducente per una foresta innevata con rami che assomigliano a giganteschi aculei, Cappuccetto Rosso Sangue, centra il suo obbiettivo nel rivisitare la favola (mantenendosi quasi fedele alla versione di Perrault ma stravolgendone completamente la morale), apoteosi dei pericoli della perdita dell’innocenza, in una storia dove l’innocenza non esistee dove tutti, a cominciare dalla protagonista, hanno intenzioni e moventi poco onorevoli. Pesantemente criticata per la trama dai più giudicata troppo esile, l’opera della Hardwicke pare non curarsi troppo della possibilità di diventare l’ennesimo blockbuster di sapore storico, per aspirare ad essere una storia raccontata per immagini, che da la sensazione di essere sfogliata oltre che semplicemente guardata. Grande attenzione nella ricostruzione di un paese che sembra uscito dall’illustrazione di un romanzo gotico vittoriano e particolarmente bella la sequenza della festa per la presunta uccisione del lupo, con tutti gli elementi iconografici caratteristici del rissoso e colorato paganesimo medievale, durante la quale vengono bruciati simulacri e si inscenano finte uccisioni della bestia come nelle stazioni dei Misteri religiosi. Amanda Seyfred, sorprendente, si dimostra, dopo l’eccellente esordio nella serie HBO Big Love, la prova canora di Mamma Mia, e l’interpretazione di Needy Lesnicky a fianco della teen-psycho Megan Fox nel  Jennifer’s Body di Karyn Kusama, più vicina che mai al ruolo della seduttrice interpretato in Chloe di Atom Egoyan. Un’attrice giovane ma già molto versatile sempre all’altezza di ciò che le viene offerto e dalla quale ci si aspetta molto altro ancora. Abbandonando ogni preconcetto sulle favole romantiche giovanilistiche è consigliabile accostarsi a questa opera con curiosità, assaporandone la grande qualità visiva e l’ambizioso spirito innovativo.

Redazione IE Cinema
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