Bastano un’ora e venti minuti effettivi tra il salotto, la cucina e uno scorcio di pianerottolo di un appartamento newyorkese e la società occidentale si frantuma in pezzi, stremata dai propri stessi tic e ipocrisie. Scritto a quattro mani con Yasmina Reza, autrice dell’acclamata pièce da cui è tratto, Carnage è un kammerspiel in cui la poetica di Polanski calza a pennello, pur caricandosi di un’atmosfera meno grave e più apertamente ironica di prove assimilabili come Cul-De-Sac e la Morte e la Fanciulla, ma non per questo meno spietata ideologicamente nel risultato. Due coppie di genitori si incontrano per dirimere in maniera civile e matura lo screzio tra i rispettivi figlioletti: qualche parola di troppo al parco, un carattere troppo aggressivo e due incisivi rotti. Si mette rapidamente su carta un resoconto dell’accaduto e ci si bea delle rispettive magnanimità, ma bastano poche parole sull’uscio perché l’idillio già scricchioli, camuffato dalle cortesie per gli ospiti. Moina dopo moina, opinione dopo opinione, frecciata dopo frecciata niente rimarrà in piedi ma nessuno avrà la forza di staccare da questo stillicidio liberatorio, crudele e sfiancante.
Alleanze e idiosincrasie si susseguono vorticosamente in una girandola di conflitti: coppia contro coppia, materialismo contro idealismo, colletti bianchi contro colletti blu, cinismo contro buonismo, moglie contro marito, uomini contro donne e infine tutti contro tutti, in un disfacimento particellare. La maestrina Foster, la compita e moderna Winslet, il cinico pezzo grosso Waltz, il buontempone Reilly trasfigurano in maniera intensa e perfettamente credibile (frutto di due settimane di prove genuinamente teatrali). Si ride amari, si riflette su ognuno dei nostri atteggiamenti, decostruiti e derisi in modo da non lasciare possibili superstiti tra il pubblico.
Polanski non fa sforzi nel gestire con la consueta, impressionante precisione ritmo, spazi e prossemica tra i personaggi. I dialoghi intessono parola dopo parola la rete che imprigionerà in quel salotto il quartetto di caratteri, vestiti e automaticamente spogliati di qualunque prevedibile feticcio: i sigari e lo scotch, i cataloghi d’arte e i libri sul Darfur, la borsetta e il cellulare, il machismo e la solidarietà femminile. Si finisce per guardarsi tutti in faccia, e diventa Il giorno peggiore della vita di ognuno. Un pezzo di bravura.