Le figure con paesaggio di Silvio Soldini si perdono nuovamente nel fuori fuoco, davvero si torna con la memoria al nomadismo di Giulia in ottobre ma con un peregrinare che punta verso il vuoto e la sconnessione tra corpi e spazi, una perdita totale delle coordinate sensoriali, movimento in gabbia che il regista Milanese affida quasi esclusivamente al deambulare incerto di una splendida Alba Rohrwacher.
Stupisce davvero questo anti racconto di autismo ordinario che scava inesorabilmente su volti e corpi, cogliendoli sorpresi in mezzo al niente, filmando quello che non si può raccontare sull’oscenità dei sentimenti con visionario realismo e tagliando definitivamente i ponti con tutto quel cinema generazionale che si affida alle urla, alla supremazia del dialogo, alle “storie” plastificate di un precariato affettivo e politico dal fiato corto. Cosa voglio di più il fiato lo toglie sottraendo l’orizzonte visivo, filmando figure che eccedono gli spazi nei loro movimenti minimi, Giuseppe Battiston, corpo dall’anima pesante ancorata al proprio nido e alle piccole ossessioni per gli oggetti di un passato ormai inerte, Alba Rohrwacher fuori da ogni luogo, rivelatore di una realtà fragile pronta a spezzarsi da un momento all’altro, Piefrancesco Favino che attraversa gli spazi con un corpo sfrontato, animalesco, senza curarsi delle conseguenze (il primo incontro, da soli, nell’ufficio di Anna) cerca di muoversi in assenza di gravità ed è continuamente ricondotto verso il basso. Soldini a un certo punto, schiaccia queste figure su uno sfondo opaco, toglie i motel, gli uffici, le case, la pesantezza dello spazio urbano, e immerge i volti di Anna e Domenico in uno scenario instabile dove gli ambienti hanno una persistenza apparente anche quando sono teatro di incontri.
Motel senza identità fisica che accolgono i loro corpi in una sospensione totale del tempo, luoghi esotici che aprono lo spazio di una fuga fittizia che porta con se, da subito, i segni della fine, l’appiattimento del campo visivo in un bagliore di luci e riflessi notturni, lo stesso che persiste nell’occhio di Anna quando si sorprende in una nuova fuga, rilanciando il suo nuovo mondo verso un orizzonte indefinito.