Cosmopolis, forse uno dei film più attesi in competizione ufficiale al 65esimo Festival di Cannes è finalmente stato presentato dal cast quasi al completo, dai produttori, dal regista David Cronenberg e dall’autore dell’omonimo romanzo da cui è tratto, Don DeLillo.
È stato proprio lo scrittore ad esordire raccontando come questa opera scritta nel 2003 sia approdata sul grande schermo: «È stato Paulo Branco, il produttore, a farmi sapere di essere interessato al romanzo ed a mettere in contatto me e David. Io non ho avuto niente a che fare con la stesura dello script e forse è proprio per questo che il film è venuto così bene!» DeLillo ha anche raccontato come la suggestione per questa storia sia partita da un’immagine: «È capitato mentre osservavo le strade di New York, che talvolta sembrano dei veri e propri campi di limousine. Credo che Manhattan sia l’unico posto al mondo nel quale questo tipo di automobili riesce a spostarsi agevolmente, ed è uno spettacolo affascinante vedere come queste enormi macchine cerchino un proprio spazio le une fra le altre. È dentro una di loro che ho immaginato il mio protagonista. Vedere il film sullo schermo è stato davvero vedere qualcosa di nuovo. Il libro e il film sono due forme di vita totalmente diverse.»
David Cronenberg: «Paulo mi ha dato il libro a Toronto ed io l’ho divorato in 2 giorni rendendomi subito conto che ne sarebbe uscito un grande film. È un libro bellissimo e perfetto, ma noi ovviamente abbiamo dovuto apportare dei cambiamenti strutturali per adattare la storia allo schermo. Quando si compiono operazioni di questo genere non bisogna mai dimenticare che si sta creando qualcosa di nuovo e di diverso rispetto al materiale di partenza.»
Il regista riflette sulle numerose riprese ravvicinate che vedono protagonista il volto di Robert Pattinson e in particolare sul lungo dialogo fra il personaggio di Eric e quello di Benno (Paul Giamatti): «Per me l’essenza del cinema non sta in grandi spazi o riprese spettacolari ma in questo: un volto umano che comunica qualcosa. Non è stato facile portare a compimento quest’opera, sotto molti punti di vista, anche quello finanziario. Il nostro impegno è cercare continuamente di superarci sia nell’attenzione al dettaglio che nelle sfumature. Non tengo mai in considerazione i ruoli che hanno precedentemente interpretato gli attori con cui lavoro, proprio perché quello che ho in mente io è di volta in volta qualche cosa di nuovo e non mi faccio distrarre da altro. Applico questa stessa logica anche per ciò che riguarda i miei precedenti film, perché visto che non sono un critico non è compito mio analizzarli e trovare delle somiglianze. Il mio lavoro è creare qualcosa che sia sempre diverso. Analizzare tutti i film fatti nella mia carriera non serve certo a rendere migliore quello che sto girando.»
Ad un Robert Pattinson particolarmente brillante e autoironico viene chiesto se abbia visto A dangerous method, ultimo lavoro di Cronenberg prima di Cosmopolis e presentato al Festival di Venezia lo scorso settembre: «Per me è semplice rispondere a questa domanda: I really like this stuff!», «E io che pensavo che Rob non avesse visto nessuno dei miei film!» scherza il regista canadese. Pattinson continua spiegando come si sia preparato per interpretare il multimilionario Eric Packer: «Ecco quello che ho fatto: ho passato 2 settimane nella mia camera d’albergo a preoccuparmi e a confondermi sempre di più!» – scherza, per poi tornare serio solo per un momento – «L’approccio in questo caso è stato sicuramente diverso rispetto a quello che ho adottato per ruoli più convenzionali. Quello che mi è piaciuto dello script e che mi ha ispirato è il suo lirismo e anche il ritmo. Non avrei cambiato niente. Ah, ci tengo ad aggiungere che saper recitare non presuppone una grande intelligenza!» conclude ridendo.
Sul copione tratto dal romanzo Cronenberg si dichiara d’accordo: «Quando hai del materiale così bello c’è molto poco da fare, se non seguirlo come lo spartito di una canzone. Non trovo che Eric sia una eccentrica personificazione astratta del capitalismo, si tratta di un essere umano che ha una storia e un passato. Ho voluto ambientare tutto all’interno della limousine, compresi i segmenti della storia che nel romanzo si svolgono altrove, proprio per sottolineare quanto il protagonista ci tenga a preservare il suo microcosmo, obbligando chi vuole comunicare con lui ad entrare a farne parte, anche se per poco tempo.»