Dave McKean non ama definirsi un artista; il termine per lui è sospetto e molto lontano dall’ossessione che caratterizza il suo lavoro, incessante ricerca sulla permeabilità delle superfici e dei materiali, in anticipo su intere generazioni di video-designer, fotografi deviant(i), illustratori impuri e pericolosamente avanti nel passato verso l’illusionismo di Melies.
Quello della contaminazione sembra il contenitore più ovvio per affrontare una lettura delle creazioni di McKean, ma probabilmente sarebbe il meno stimolante se non permettesse un’apertura limpida e allo stesso tempo indistinta verso un procedimento che anche materialmente, è di natura stratigrafica. Tra(n)s-/ap/parenza allora ci sembra più forte di contaminazione, perchè allude ad un processo percettivo nell’atto dell’attraversamento da un livello all’altro. Dalle copertine per Sandman, fino agli artwork per innumerevoli musicisti, la finestra, il reticolo, il frame, sono in fondo l’occhio sul quale si depositano le squame del (suo) vedere.
Uno degli artwork più semplici e meno conosciuti dell’autore di Maidenhead, realizzato per un singolo dei Bark Psychosis, rende accessibile al disegno (o viceversa) la plastica del Jewelbox, è una finestra costituita da infissi di legno disegnata con una tecnica quasi impressionista e appiccicata ai bordi plastificati del CD come se ne fosse protesi.
L’oggetto stesso diventa trasparente e contiene quello che ci si può vedere attraverso; riflessi, forse fonti di luce fotografica, altri occhi che guardano attraverso, in un’immagine che Mckean recupera come centrale nella doppia visione di Helena/Helena alla finestra, nel suo MirrorMask.
E’ un insieme di segni il cui svelamento è disatteso da uno sguardo multiforme, molto di più che l’immagine di un’immagine è invece l’amplificazione di uno specchio che non rivela la fonte originaria del riflesso, invertendolo costantemente e scompaginando oggetto e soggetto della percezione.
Il digitale, nella ricerca di McKean ha un sembiante volatile e concreto allo stesso tempo; è uno specchio adesso mascherato, ora disvelato della realtà fotorealistica.
Ospite illustre all’11ma edizione del Matita Film Festival, Mckean ha portato con se la sua produzione video; dal suo lungometraggio prodotto a basso budget con la factory di Jim Henson qualche anno fa e intitolato (non a caso) MirrorMask ad alcuni videoclip realizzati negli ultimi anni per musicisti come Buckethead, Elton John e via dicendo.
E’ una commistione di visibile e invisibile il digitale in movimento di McKean, un vero e proprio inland empire delle arti visive dove la trasparenza di cui si parlava confonde i piani in un viaggio dell’occhio tra volumi e spessori virtuali e dentro una carnalità fotografica dalla profondità illusoria.
Michele Faggi (indie-eye) Domenico Rosa (il Sole 24 ore) non si sono lasciati sfuggire l’occasione per parlare con McKean di chaos, tecniche digitali, visibile e invisibile in un’intervista realizzata con il supporto di Thomas Martinelli (Il Manifesto).
Il risultato è un video di circa 10 minuti, in lingua Inglese e sottotitolato in italiano visibile continuando a leggere l’articolo; è un primo contributo alla documentazione completa dedicata al Matita Film Festival che nei prossimi giorni sarà pubblicata qui su STRANEILLUSIONI; buona visione.