sabato, Dicembre 21, 2024

District 9 – di Neill Blomkamp – (Usa – Nuova Zelanda 2009): recensione

Il talento di Neill Blomkamp era già "nell'aria" da un po' di tempo; il regista Sudafricano si era fatto notare come autore di sorprendenti spot pubblicitari, di una serie di cortometraggi e soprattutto dei tre teaser prodotti per promuovere il lancio di Halo 3, il cruento Shoot em up di Microsoft e WETA Workshop, parte di un progetto che avrebbe dovuto portare Blomkamp all'esordio di lunga durata, prodotto dalla Wingnut film di Peter Jackson. Con questi presupposti e con uno short movie intitolato Alive in Joberg, il regista Sudafricano con il solito aiuto di Jackson ha invece messo insieme District 9...

Il talento di Neill Blomkamp era già “nell’aria” da un po’ di tempo;  il regista Sudafricano si era fatto notare come autore di sorprendenti spot pubblicitari, di una serie di cortometraggi e soprattutto dei tre teaser prodotti  per promuovere il lancio di Halo 3, il cruento Shoot em up di Microsoft e WETA Workshop, parte di un progetto che avrebbe dovuto portare Blomkamp all’esordio di lunga durata, prodotto dalla Wingnut film di Peter Jackson.

Con questi presupposti e con uno short movie intitolato Alive in Joberg, il regista Sudafricano con il solito aiuto di Jackson ha invece messo insieme District 9, sviluppando in modo estremo ed accurato tutte le suggestioni dei suoi primi esperimenti, mettendo al centro l’interazione, anche percettiva, tra uomo e macchina che oltre alla visione soggettiva di Halo 3 animava anche Yellow,  il bellissimo commercial girato per Adidas. 

Ed è con uno scanning su un certo immaginario anni ’80 che lo sguardo di Blomkamp penetra il metallo e la carne;  utilizzando l’occhio disincarnato di un videogame costruisce un documentario “virtuale” in parte memore di quell’aderenza realistica al falso che aveva fatto di Forgotten Silver un piccolo capolavoro.

La Johannesburg in fiamme di vent’anni fà è il set per una baraccopoli popolata da una genia Aliena, un ghetto vero e proprio trasformato in un teatro di guerra, dove la convivenza con i terrestri è arrivata ad un punto di non ritorno. Anche se qualche piccola eco proveniente dal cinema di John Sayles permette a Blomkamp di sfiorare la forma di un cinema “poetico”, District 9 non cede mai alla tentazione di declamare un pamphlet di spessore morale giocandosi al contrario un’idea fortissima e stratificata di visione, come propellente per la costruzione di un cinema politico.

E in effetti, un “falso” documentario sulla metamorfosi dell’immagine a partire dagli anni ’80 non può che rivelarsi come fusione eccentrica capace di mettere insieme il cattivo gusto del primo Peter Jackson, la nuova carne di Cronenberg, gli Slum minacciati dal potere in They Live, tutti gli spiriti imprigionati in un guscio di metallo da Tekkaman a Mamoru Oshii e una prospettiva iperrealistica che si serve dell’estetica Shoot em up come del dispositivo visivo più aderente alla realtà documentata dei conflitti recenti.

E’ sorprendente come Blomkamp riesca a scardinare la retorica della science fiction contemporanea realizzando un vero e proprio anti-cloverfield (a sproposito tirato in ballo) e scommettendo in modo brutale e onesto su una messa in scena estrema del visibile.  Se da una parte è evidente il lavoro sul continuo slittamento del nucleo narrativo come variante estrema del concetto di identità, la scelta di mostrare l’essenza del razzismo passa attraverso la forma radicale della macchina bellica, penetrata nel suo passaggio progressivo e storico dall’organico all’inorganico; occhio puntato sui processi della mutazione che prima ancora di essere un divertente gioco cinefilo è un’inquietante storia metavisiva sulla trasformazione del nostro sistema percettivo.

Rispetto al recente Lebanon di Samuel Maoz, lo straordinario esordio di Blomkamp è veramente una discesa dis-umanizzata nell’inferno post-identitario dell’occhio contemporaneo.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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