E la chiamano estate di Paolo Franchi (Nessuna qualità agli eroi) film in concorso alla 7° Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma; un dialogo difficile con la stampa durante il quale, specie da parte del regista, c’è stata poca voglia di spiegare la sua opera, sicuramente anche a causa della forza polemica di akcuni interventi, suffragati dagli applausi di tutto l’uditorio. La produttrice del film, Nicoletta Mantovani, l’ha paragonata ad una situazione da “cristiani contro leoni” e a chi ha definito il film, storia di Dino e Anna, ovvero due quarantenni che si amano senza consumare il loro amore, ma cercando il sesso in incontri occasionali con altri partner, leggi anche un caso banalissimo di impotenza secondaria situazionale sul quale è stata costruita una trama assurda tralasciando gli aspetti psicologici più profondi, la Mantovani ha risposto: Questo è un copione che mi interessava perché racconta un dolore, e sotto forma di metafora, quello che accade in molte coppie. Non voleva essere un’analisi di tipo psicologico ne tanto meno un documentario.
L’autore, Paolo Franchi: Volevo raccontare l’amore anche come condivisione di un dolore, qualcosa di profondo fuori dai canoni di ciò che la società ci impone. Il tempo in questa storia è un tempo interiore nel quale presente e passato si mescolano. Non c’è una cronologia. Questa ripetizione vuole sottolineare le ossessioni del protagonista. Non c’è un racconto longitudinale, il film non ha un’impronta realistica. È un linguaggio già usato negli anni 60 e non solo da Antonioni che solitamente usava un tempo situazionale. In Italia la cultura si sta livellando drammaticamente, anche a causa della televisione e non c’è più ricerca o sperimentazione – Ha proseguito il regista – La cultura è anche diversità e varietà di offerta, non sempre la stessa minestra. Il mio film non deve essere un esempio ma è comunque una ricerca personale che può arricchire il panorama. L’arte è egoista e io non ho la presunzione o l’ambizione di arrivare a tutti.
La pellicola ha ricevuto i contributi del Mibac della Regione Apulia e della Regione Lazio: sui costi del film Nicoletta Mantovani: Il costo è stato di circa un milione e mezzo. Dal Ministero abbiamo ricevuto quattrocentomila euro, dalla Regione Puglia ottantamila. Per produrre un film d’autore ci vuole un produttore che ci creda e che abbia coraggio. È difficile rispondere a delle domande in una conferenza stampa che ricorda i cristiani contro i leoni. Non si accoglie così un film d’autore, lo si può criticare, ma non condannare. A me piace la ricerca, e in futuro vorrei restare in questo ambito.
Isabella Ferrari che nel film interpreta il ruolo di Anna: Mi piace sempre sposare la causa di un regista. Io considero questo un film d’autore, e, specialmente in questo momento è qualcosa che mi dà energia. Mi sono buttata in questo percorso con Paolo che non mi ha chiesto di costruire una particolare performance, facendomi sentire libera, senza maschera. Ho pensato al vuoto e su quello ho lavorato sprofondando, riemergendo e poi galleggiando. Non mi hanno imbarazzato le scene di nudo, forse per la prima volta, proprio perché non c’era costruzione. Considero questo film una grande esperienza nel mio percorso artistico.
Il protagonista Jean Marc Barr (Dogville, Le onde del destino): In un personaggio io cerco sempre una connessione con il mio background che è molto cattolico. Quando da ragazzo mi sono innamorato per la prima volta tendevo a idealizzare così tanto le donne da trovare delle difficoltà nel farci del sesso. È questo che ho trovato interessante in Dino, la sua depressione, e il sublimare il desiderio per la sua compagna. È l’esplorazione di una sessualità diversa e di una diversa filosofia. Questo film diretto da un giovane autore è qualcosa che provoca e rivoluziona certe posizioni culturali. Io trovo Dino vero e sincero, cerca la morte ma lo fa per amore.