Quando in Elles Juliette Binoche si masturba in solitaria, si ha la sensazione che lo sguardo impudico di Malgoska Szumowska sia un occhio spietato, gelido; senza la partecipazione amorevole di un amante sta sopra l’attrice Francese per spiarne i movimenti e ogni piccolo fremito. È una sequenza oscena, non per quello che mostra, ma per questo contrasto imperdonabile tra la carne abbondante della Binoche, corpo straordinario capace di mettersi in gioco con una naturalezza senza filtri, e una regia che inquadra gli attori come un cecchino non visto. Anne è una giornalista affermata, al lavoro per un’inchiesta sulla relazione tra il mondo universitario e quello delle escort, incontrerà Alicja e Charlotte, due giovani ragazze che prostituendosi hanno raggiunto un alto livello di indipendenza economica. Sfiorando i confini di un territorio molto simile a quello di Mes chères études di Emanuelle Bercot, la Szumowska non riesce a stare in piedi sul baratro tra abiezione e desiderio che nel cinema (tutto) della regista Francese è spesso un’immagine ambigua e inconciliante; Elles al contrario rimane invischiato in un didascalismo tematico che fiacca le immagini con una retorica così spinta verso il ritratto fotografico digitale da far rimpiagere l’improvvisa esplosione domestica di ottiche cinematografiche per i dispositivi DSLR. La Szumowska contrappone in modo ovvio uno spazio famigliare precipitato nell’abitudine più dolorosa con un segmento di tempo sospeso tra immaginazione e desiderio, quello di un erotismo nato dal gioco e allo stesso tempo da una penetrazione violenta del mercato nelle pratiche di conoscenza carnale; in questo senso il cibo, il nutrimento, la relazione tattile e orale con la materia organica, diventa l’attrattore immaginale privilegiato tanto da essere l’unico in grado di far collidere i confini domestici con un complesso sistema di stimoli, basta pensare alla sequenza dove Anne prepara contro voglia un pranzo per gli amici del marito, pulendo una partita di molluschi freschi e spargendone il siero sulle mani, per poi annusarle come se si trattasse di un riconoscimento violento e improvviso delle proprie secrezioni; in questo percorso liminale la Binoche si sorprende quasi sempre come figura del transito, tra malinconia e orgasmo, morte e rinascita, in quel suo procedere con incertezza animale che in un film di ben altro livello come il bellissimo Copia Conforme, emergeva come immagine flagrante dello spaesamento. Malgoska Szumowska, allieva della Lodz Film School, scuola di formazione documentaristica da cui sono usciti alcuni dei più grandi autori polacchi tra visione e realtà, scopre le sue carte da subito con una propensione grafica che congela il movimento; ci si potrebbe attardare in un’esamina di tutte le coordinate sociologiche che attraversano Elles, se non fosse proprio per un sottinteso che sta invece al di sopra dello sguardo e precede la nostra possibilità di scorgere qualche immagine viva in questo debolissimo e mortuario pamphlet sui desideri modificati dalla società dei consumi. Un “significato” nient’affatto difficile da scorgere ma sorprendentemente epurato da ogni ambiguità e indecidibilità, tanto l’immagine si rivela come già “consumata” nella distanza dello sguardo; l’esilarante still life di Alicja che in ginocchio accoglie la copiosa pioggia dorata di un cliente sul suo corpo abbondante e sodo ci è sembrato molto vicino a quel “fare finta” delle immagini di consumo globale che mimano il mondo parallelo della pornografia, in un cortocircuito tra il glamour di “Elle” (la rivista) e le intenzioni della Szumowska, che rimangono del tutto pretestuose. Alla fine, c’è più senso del limite tra mercato e desiderio, abiezione e conoscenza in un pompino di Sasha Gray che in questa “pornografia” per ricchi.