“Il cinema di Fellini mi ha reso felice”
In questa frase di Basilio Martìn Patino, regista di Salamanca e fondatore di un glorioso cineclub che osò sfidare la censura franchista proiettando pellicole proibite, si raccoglie il senso di quel rapporto difficile, contrastato, censurato, eppure vivo e ricco di fertili contaminazioni, vissuto da Fellini con la Spagna lungo tutto l’arco della sua produzione, da Luci del varietà a La voce della luna.
La ricerca documentaria sull’accoglienza dell’opera del regista in quel Paese, condotta da Stefania Miccolis nel corposo volume edito per i tipi della Carabba editrice, è soprattutto un atto d’amore verso la settima arte e verso uno dei suoi padri celebri, unito al bisogno di indagare le ragioni del percorso travagliato di film sempre in bilico fra censura di regime e censura di mercato, deturpati in vario modo da tagli, strategie di doppiaggio miranti a distorcere il messaggio, ritardi nella distribuzione e quant’altro.
Due le piste seguite, in una esplorazione minuziosa, attenta e illuminante per chiunque voglia leggere, fra le luci e le ombre di una vita vissuta per il cinema, l’avventura artistica spagnola di un uomo su cui tanto si è scritto e detto, ma che lascia, evidentemente, ancora spazi aperti all’indagine.
La prima linea di ricerca, e la più cogente, ha preso in esame le ragioni e le modalità di una vicenda che, partendo dal cinema e da uno dei suoi grandi autori, collabora ad illuminare di luce sinistra la tragica storia del franchismo in Spagna.
A corollario di uno scenario di cui mai si finiranno di esplorare le derive oscurantiste e le trame liberticide, è nata spontanea la domanda su quanto il cinema di Fellini abbia influenzato gli autori spagnoli e, più in generale, la storia culturale del Paese.
Il singolare destino di Fellini in Spagna, oscillante fra rifiuto e amore sconfinato, culto ma anche, in tanti casi, incomprensione e detrazione, non poteva lasciare indifferenti.
Il risultato è un chiaro avanzamento nella comprensione di una fase storica segnata da vicende politiche fortemente riflesse nella cultura del Paese, ma anche un tassello ulteriore nella definizione critica di un cinema che, afferma l’autrice: “… si esprime nel linguaggio universale del cinema con la sua originalità e personalissima visione della realtà, rompe gli schemi sul piano stilistico, elabora un linguaggio cinematografico con termini nuovi, affronta tematiche soggettive da cui emerge un paesaggio antropico e antropologico. I corpi spiriti e le anime corpose, i primi sempre in sogno, i secondi in caricatura, i primi in bianco e nero e le seconde a colori, questa mescolanza di onirico e di materico, di evanescenza e di dettaglio, a seconda che i corpi dei personaggi abbiano i piedi per terra o la testa tra le nuvole, a seconda che le loro storie abbiano le radici nel sociale o i rami nel surreale, rende il suo cinema ricco di nostalgia ed allo stesso tempo profetico, ribollente di memoria e di attualità, di realtà e irrealtà”.
Metodologicamente puntuale e rigoroso sul piano filologico, il lavoro si è dipanato lungo molteplici coordinate, avvalendosi di una vastissima documentazione.
Articoli dei principali periodici spagnoli trovati in varie emeroteche, archivi e biblioteche, oltre che presso la Fondazione Fellini di Rimini, dossiers di censura fortunosamente rintracciati, testimonianze dal vivo raccolte in lunghe interviste a intellettuali e cineasti spagnoli, hanno fornito la trama su cui si è intessuta una fitta rete di rimandi, citazioni e ricostruzioni delle disastrose avventure nella distribuzione e nella fruizione di molte pellicole, anche fino al 1981, data in cui soltanto fu possibile distribuire nelle sale spagnole La dolce vita.
Il crocevia dell’incontro tra Fellini e la Spagna diventa in tal modo anche un interessante punto di vista prospettico da cui guardare il profilo culturale dell’Europa, almeno di quella mediterranea, nel secondo dopoguerra. L’occhio è infatti rivolto anche alle vicende di casa nostra, dove non è mancata una censura, se non politica, certo ideologica e di mercato, sull’opera del regista, e le riflessioni conseguenti sono molto istruttive in proposito.
Chiarificatori pertanto i riferimenti a quel sottile ostracismo di cui Fellini fu vittima per lungo tempo, colpevole di non appartenere a correnti e movimenti, in un’autonomia tenacemente perseguita nell’appassionata difesa delle ragioni della sua lingua poetica. Quel fare cinema che travalicava i tempi, aprendo territori inesplorati alle generazioni future, in uno scarto ricco di tensioni tali da rendere il suo linguaggio ancora attuale, era certamente “oltre”il suo tempo.
Le prime due sezioni del libro (La censura cinematografica in Italia e in Spagna e Influenza di Fellini sul cinema spagnolo) pongono, quindi, questioni di metodo e di merito, scandagliando l’orizzonte problematico dell’approccio critico al cinema di Fellini, stretto fra una Spagna franchista, dominata per quarant’anni da occhiute commissioni di censura, e un’Italia repubblicana pesantemente condizionata da censure di segno opposto (la Chiesa da un lato, custode di una morale “… segnata dal tempo ma proposta come assoluta […] che le impedì di conoscere autori come Fellini che erano sinceri credenti e che non intendevano minimamente schernire o vilipendere la religione cattolica” , e la critica di stampo marxista-lucàksiano dall’altro, guidata da Aristarco che, con ampio seguito, gridava al tradimento della poetica neorealista da parte del regista).
Segue un’ampia sezione dedicata alla ricognizione dell’intera filmografia di Fellini, a partire dall’apprentissage giovanile come collaboratore di Rossellini, Germi e Lattuada. Un cospicuo apparato critico ricostruisce storia e fortuna dei film, offrendo interessanti angolazioni per la conoscenza della genesi di ognuno e del significato assunto come tappa di quella storia interiore che è il motore delle sue storie e delle sue visioni.
“Fellini resta accanto ai suoi personaggi, nel loro spazio e nel loro tempo, facendo dei suoi film visioni d’insieme, dove si muove il protagonista che è sempre lui o un personaggio che lo rappresenta”
La lunga storia di Fellini in Spagna si conclude nella terza sezione del volume, Appendice dedicata alle interviste e arricchita dall’epistolario inedito del regista con Jordi Grau, anch’egli regista e legato a Fellini da lunga amicizia.
Fra le voci di critici e cineasti come Gubern, Borau, Camus, Quintana,Latorre, Perales, amici o semplici estimatori, alcuni anche suoi collaboratori in vario modo fin dagli anni più lontani, spicca, preziosissima, quella di Tullio Kezich, amico e biografo, per lunghi anni fianco a fianco sul set e nella vita, a cogliere l’essenza intima di quella formidabile personalità umana e artistica, che ci trasmette in un lungo e cordiale racconto, pieno di ricordi, di affetto e di storie. E anche di amarezza, la nostra, nel leggere le sue ultime parole: “Era un uomo che portava vitalità dappertutto […] poi ha perso l’allegria e anche la capacità di comunicarla e, piano piano, si è un po’ spento […] cominciava ad avere difficoltà di lavoro perché non trovava produttori, con la televisione c’erano tempi enormi di attesa […] Il potentato economico italiano ha fatto pochissimo per Fellini. Avevano questo genio universale, questo personaggio che rappresentava l’Italia fino negli estremi paesi del mondo, e nessuno gli dava una mano, nessuno gli dava la possibilità di avere un lavoro continuo… a lui sarebbe piaciuto andare tutti i giorni a Cinecittà, girare tutti i giorni, gli piaceva…”.
Stefania Miccolis
“FEDERICO FELLINI E LA SPAGNA”
Collana: Universale Carabba
formato: 16×23
pagine : 320
Prezzo: € 25
ISBN: 978-88-6344-290-8