venerdì, Novembre 22, 2024

France Odeon 2012 – Incontro con Sabine Azéma: se c’è una parola che può definire Alain Resnais questa è “libertà”

Si è aperta oggi la quarta edizione di France Odeon, il secondo festival in ordine di tempo ad essere inserito nel contenitore della 50 giorni di Cinema Internazionale a Firenze. Ad aprire la programmazione, Vous n’avez encore rien vu,  il nuovo film di Alain Resnais presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes e tratto dall’Eurydice di Jean Anouilh, uno dei “testi neri” del  drammaturgo, regista teatrale e sceneggiatore scomparso nel 1987. Ospite del Festival in occasione di questa speciale apertura presentata a France Odeon in anteprima Italiana, Sabine Azéma, interprete prediletta da Resnais sin da “La vita è un romanzo”. L’attrice Francese ha incontrato la stampa con la moderazione di Aldo Tassone questo pomeriggio, qualche ora prima della proiezione del film. Vous n’avez encore rien vu, di cui ha scritto qui su indie-eye.it anche Sofia Bonicalzi in occasione della presentazione Cannense, è un film che per certi versi porta a conseguenze estreme gli inserti di cinema “nero” di cui si parlava a proposito di Les Herbes Folles isolandoli in un’astrazione centripeta che si dibatte tra scena teatrale e schermo. Rispetto al film precedente del maestro Francese Vous n’avez encore rien vu è un film esplicitamente più teorico dove ancora una volta Resnais gioca con l’accumulo di una memoria collettiva e plurale in uno spazio cinema chiuso, scegliendo la sovrimpressione rispetto alla mobilità dello sguardo Rivettiano che perfora lo spazio teatrale. È un sorprendente film di fantasmi, apparizioni che non riguardano solamente la memoria dei luoghi e la sovrapposizione delle tracce corporee, ma anche la continua distruzione dello spazio teatrale nella virtualità moltiplicata del set. Non solo schermi che osservano reciprocamente il rovescio della palpebra, ma una trasparenza fortissima dei corpi rispetto ai luoghi, basta solo pensare all’uso estremo che Resnais fa del green screen e a quello strappo violento degli ultimi minuti, dove la flagranza della natura irrompe con tutta la forza del fuori campo. Sabine Azéma, con una generosità rarissima, si è intrattenuta per quasi un’ora con la stampa fiorentina e ha raccontato alcuni aspetti molto interessanti della sua relazione artistica con il grande regista Francese…

Nell’ultimo film di Alain Resnais c’è una libertà assoluta nel controllare il tempo e gli spazi; come percepisce, da attrice, questa libertà?

Ne sono prigioniera, assolutamente prigioniera del cinema di Resnais, e ovviamente è una condizione che mi piace molto.
Ma ovviamente, se c’è una parola che può definire Alain Resnais questa è “libertà”; fin dal suo primissimo film ha dimostrato di essere un uomo di una profonda libertà e  anche adesso, alla sua età, riesce a trovare distributori e produttori disposti a finanziare le sue idee, nonostante il suo cinema continui ostinatamente ad essere fuori da qualsiasi  tendenza per indipendenza e originalità;  del resto quello che caratterizza i grandi artisti è proprio la libertà.
Resnais è un regista sempre molto profondo che racconta il dolore e la gravità dell’esistenza ma lo fa divertendosi e con la volontà di divertire gli altri, una cosa inizalmente difficile da capire per il suo pubblico; per ogni film dimostra un forte senso di libertà inventando sempre un gioco nuovo, per esempio per Mai sulla bocca (Pas sur la bouche) si è ispirato ad un’operetta francese in un momento in cui il genere era probabilmente privo di interesse per il pubblico, per lui è un modo per sentirsi libero dal gusto degli altri, in smoking not smoking c’era la volontà di lavorare su molte idee di teatro, per sperimentare, per vedere come poteva trasformarsi progressivamente il film

A proposito del titolo del film, “Vous n’avez encore rien vu”, qual’è il suo significato, ha un’origine precisa oppure è uno “scherzo”?

Alain Resnais è sempre stato molto attento a trovare titoli intriganti per i suoi film, “Vous n’avez encore rien vu” in realtà era un titolo già presente nelle prime versioni della sceneggiatura, era considerato come provvisorio in attesa di trovare quello giusto, ma tutti concordavamo sul fatto che in realtà fosse un titolo perfetto, e alla fine è stato mantenuto.
A Resnais piace molto giocare e il titolo suggerisce in modo forte proprio questo senso del gioco. Gioco, come pratica del recitare, come spettacolo, il cinema quindi ma anche il teatro che dialoga incessantemente con le altre altri, una caratteristica dei film di Resnais del resto è quella di riferirsi a mondi come quelli del teatro, del cinema, della musica, dell’operetta, della canzone, della danza. E’ come dire, accomodatevi, si gira.

Cosa significa lavorare con persone che si conoscono da sempre?

Ho il desiderio di fare questo mestiere da quando ero piccola, voglia di far spettacolo, scrivere, mettere in scena, mi piaceva lo spettacolo da bambina e non avevo però mai sognato il cinema, ed è arrivato; non avevo mai sognato un autore come Alain Resnais, ed è arrivato anche lui. Con Resnais ho fatto dieci film, e per ogni suo nuovo progetto vengo sempre coinvolta, questo in un certo modo da senso alla mia vita, può sembrare un’affermazione forte, ma se si considera che questo mestiere può contenere il peggio e il meglio; ovvero metterci a volte in condizione di affrontare progetti volgari e sbagliati e al contrario di incontrare persone straordinarie, l’incontro con Resnais per me ha rappresentato e rappresenta un’enorme soddisfazione e sono molto felice di non aver perso questa occasione. Fare dieci film con Resnais è appassionante dal punto di vista artistico, intellettuale e poetico ed è veramente una cosa che completa la mia vita. Mi trovo un po’ come in un testo di Lewis Carrol quando lavoro con lui, Sabine nel paese delle meraviglie, chissà cosa troverò nei prossimi mondi.
Con  Resnais non è solo il risultato finale ad assumere importanza, ma anche il percorso, il processo. Quando si fa un film è importante che piaccia, questo si, ma è la strada fatta insieme che per me è molto importante e interessante; poi la nave va, si lascia andare.

A proposito della complessa e lunga relazione del cinema, fin dalle sue origini, con il teatro, sembra che nel cinema Francese, che può contare su una tradizione teatrale più accademica, il gioco di scambio riesca ad essere molto liberatorio e non asfittico, che cosa ne pensa?

Alain Resnais dice sempre di voler riconciliare i due “fratelli nemici”, è un’idea più complessiva di spettacolo, per questo si chiede, perchè mettere in opposizione teatro e cinema; in entrambe le forme esiste il testo e come uomo di cinema Resnais lo prende e lo trasforma con l’immagine e con il montaggio del quale è certamente un maestro. Partire da una piece di Jean Anouilh è un pretesto per lavorare sul cinema. Resnais affronta il cinema sempre in modo nuovo, perchè quello che è sorprendente di quest’uomo è la sua capacità di sperimentare sempre nuovi linguaggi con l’idea di riconciliare tutte le forme d’arte. A Resnais non interessa per esempio l’aspetto introspettivo della recitazione, quanto invece tutti gli aspetti che promanano dall’attore stesso verso lo spettatore.

Qual’è il “metodo” Resnais nel dirigere gli attori?

Resnais è estremamanete calmo, ha molto rispetto delle persone con cui lavora, ma è anche molto deciso e preciso nella direzione da indicare. Resnais desiderava diventare attore, e non pensava inizialmente alla regia, da questo punto di vista il montaggio è arrivato prima della regia stessa come interesse, ma la sua passione erano gli attori e questo lo si percepisce in modo molto forte nel suo cinema. L’attore in genere è molto fragile, spesso è soggetto a pressioni molto forti da parte di un regista e in questo senso non gli è consentito esser troppo suscettibile quando  lavora su un set. Al contrario, nei set di Resnais c’è molto rispetto e questo implica che se non diamo un buon risultato, è assolutamente colpa nostra. Se un attore dimostra paura, si chiude, deve essere aiutato dal regista a sentirsi a suo agio davanti alla macchina da presa e in questo Resnais è davvero grande; gli attori sono un po’ come dei cani  che girano ansiosamente per trovare il posto giusto nella propria cuccia e il regista ha il compito di aiutarli; la difficoltà per un attore non è tanto quella di recitare bene oppure male, ma quella di sentirsi veramente a suo agio. Alains Resnais ha capito davvero tutto della psicologia degli attori e questo non è un dato cosi scontato, ci si blocca facilmente e l’attore deve essere impressionato da un regista, non certo intimidito. Resnais è molto preciso nelle sue indicazioni, non passa certo ore ed ore a spiegare il personaggio, lancia un appiglio, un’indicazione e improvvisamente arriva la luce. Lavoriamo molto a monte, scambiamo idee, letture, si lavora molto prima dell’esperienza sul set, parlando di molte cose, persino dei viaggi che abbiamo fatto, delle nostre esperienze, raccontandoci allo stesso tempo la storia dei personaggi, seminando e aspettando di raccogliere quello che accadrà sul set. Allo stesso modo, i set di Alain Resnais non sono affatto improvvisati, tutto è già pronto.

 Lei ha conosciuto Anouilh quando era molto giovane, può raccontarci di questo incontro?

Quando sono uscita dall’accademia di arte drammatica di Parigi la prima piece che ho recitato era proprio di Jean Anouilh, ho recitato con Louis de Funès, in un evento di grande successo, sono diventata quindi amica di Anouilh e si è sempre parlato di nuove occasioni per mettere in scena i suoi lavori; quando ho incontrato Resnais ho sempre avuto il desiderio di farlo incontrare con Anouilh; ho anche organizzato un pranzo dove ho invitato entrambi. Ricordo ancora alcune delle cose che si sono detti; Resnais è una persona sempre in movimento, non riesce a star fermo, si alza e si muove in continuazione e ricordo bene che Anouilh gli disse “un giorno non potrà più fare acrobazie di questo tipo”; la seconda cosa che gli ha detto era proprio relativa al fatto di poter trarre un film da uno dei suoi lavori teatrali, cosa che poi è accaduta, Anouilh non lo saprà mai, ma rimane una grande emozione, ho pensato molto a lui quando sapevo di dover partecipare alla realizzazione di Vous n’avez encore rien vu

Non abbiamo ancora parlato della morte, nel film c’è una frase dove lei dice “voglio vivere”, fa parte di un incredibile momento di otto minuti dove volge le spalle alla macchina da presa; una riflessione sul peso della morte che attraversa tutto il film…

Io ho recitato la mia parte, non ho pensato alla morte in modo particolare, ho recitato l’amore, un incontro straordinario e folle che non durerà; come due farfalle che si incontrano e si bruciano, non c’è nessun elemento sensuale manifestato, i due amanti non parlano neanche dell’atto amoroso, si parla molto della purezza dell’amore, della difficoltà di  farlo durare e soprattutto della difficoltà di cancellare il passato delle persone. Gli altri personaggi hanno altre preoccupazioni, il padre per esempio (Michel Piccoli) parla molto di vini e di ristoranti, ma non era la mia parte. L’amore sublimato che non si perde mai e che dura anche in un’altra dimensione, questa era la mia parte. Nel film vengono anche affrontati temi come il forte desiderio di fondersi in un’unica persona anche quando si rimane in realtà due anime separate oppure come l’utilità di dirsi la verità o di mentire; io per esempio nel film sono costretta a mentire per proteggere la persona che amo, se gli dicessi la verità lo ucciderei.

 A proposito del finale…

Quello è l’unico momento in cui compare la natura reale, credo che Resnais abbia voluto sorprenderci uscendo dal set e mostrandoci un’immagine differente, come in tutti i suoi film  lascia lo spettatore assolutamente libero di scegliere una via possibile.

Nuovi progetti insieme a Resnais?

È tutto davvero troppo nuovo per poter parlare del nuovo progetto di Resnais in cui sono coinvolta e non vorrei tradirlo ne tradire il progetto stessso, quindi l’unica cosa che posso dire è che Resnais è già al lavoro per un nuovo progetto, per questo io lo definisco “il mio campione”.

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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