venerdì, Novembre 22, 2024

Francesco Bianconi dei Baustelle parla de L’esorcista di William Friedkin

Nexo Digital, alla vigilia dell’uscita nelle sale de L’esorcista di William Friedkin, proposto in una nuova versione gonfiata in digitale sulla base del directors cut già ri-edito per la fruizione cinematografica nel 2000, ci propone il commento di Francesco Bianconi dei Baustelle, al quale vorremmo rispondere in altra sede più agevole rispetto a questa news, e con strumenti diversi.
Cordialmente vorremmo però dirgli che nel 1973 era certamente appena nato, ma nel 2000, quando appunto il film veniva riproposto in sala in una nuova versione integrale, andava per i 27, mentre nel 1982, quando L’Esorcista veniva ri-edito per il mercato Italiano con la revoca del divieto dai 18 ai 14 anni era effettivamente troppo piccolo per essere ammesso in sala. Nel 1982 di anni ne avevo 14 e vidi il film di Friedkin al Teatro Verdi di Firenze, dal 1966 dotato con uno degli schermi più grandi d’Italia che credo superasse i 16 metri in larghezza. L’esperienza mi salvò dalle prime emissioni televisive (Mediaset), puntualmente censurate.
Presumo quindi, che la memoria televisiva di cui parla il Bianconi sia appunto quella preparata dalla censura del suo (e del nostro) tempo, e che da buon “esoterista” di maniera (Melville avrebbe detto “impostore di fiducia”) animato dalla stessa pigrizia che  lo ha avvicinato ad Elemire Zolla senza averlo letto, possa parlare agevolmente anche di un cinema “mai” visto, buona lettura:

L’esorcista” compie quarant’anni e torna nelle sale, in versione integrale e digitalizzata. Sul capolavoro di William Friedkin si è scritto e detto di tutto, dal 1973 in avanti.
Non ebbi modo di vederlo al cinema, perché anch’io ho quarant’anni, e a zero o uno l’ingresso mi era impossibilitato!
Però l’ho visto più volte in televisione. Il film è sempre stato pubblicizzato come “il film horror più terrificante di tutti i tempi”, e a me e ai miei amichetti in provincia questo lancio stuzzicava. Perché l’horror ci piaceva. Ce li guardavamo in tv, gli horror, e passavamo interi pomeriggi a raccontarci trame, a discorrere su quanto una precisa scena facesse paura. I nostri genitori ci accompagnavano in macchina a Foiano della Chiana la domenica pomeriggio: i bigliettai del Cinema Teatro Apollo lasciavano entrare anche se non avevi compiuto quattordici anni e il film in programma era, per l’appunto, vietato ai minori. In questo modo, col gusto sottile del proibito, abbiamo visto parecchi film terrificanti, nel senso buono e nel senso cattivo (ovvero di “terrificanti schifezze cinematografiche”). Che ricordi. Per noi era una dimostrazione di coraggio. A volte ci coprivamo gli occhi con la mano, lasciando gli spazi fra le dita socchiusi, per far sì che il sangue o il mostro fosse schermato ma non del tutto. Giocavamo a spaventarci. In fondo, perché si guarda un film horror? Per il piacere di avere paura, semplicemente. Così come a volte dà piacere perdersi, perdere, essere malinconici, farsi del male. Il piacere della paura, quello cercavamo. E ci sentivamo grandi, o perlomeno più grandi della nostra età anagrafica e dimostrabile.
“L’esorcista”, la prima volta che lo vidi in tv, non mi spaventò. O meglio, mi spaventò senza darmi alcun piacere. Mi disturbò parecchio, forse perché non riuscivo a catalogarlo, non riuscivo a farlo rientrare nella categoria del giocare ad avere paura. All’epoca imputai queste sensazioni al fatto che l’avevo visto su un televisore in bianco e nero Grundig dallo schermo davvero piccolo e molto malandato. Mi ingannavo, in realtà, dal momento che sullo stesso apparecchio avevo visto altri horror con reazioni profondamente diverse da quelle ricevute dalla visione del film di Friedkin, e tutte, a loro modo, “rassicuranti”. No, qui c’era qualcosa che non andava, e questo qualcosa stava nella natura stessa del film. Cosa fosse lo avrei capito solo un po’ di anni più tardi.
La trama è risaputa e il titolo del film la dice lunga: la figlia adolescente (Linda Blair) di un’attrice di mezza età comincia ad avere strani disturbi della personalità; i disturbi si intensificano in maniera inquietante; la madre tenta ogni via scientifico-razionale per cercare di individuare la patologia e trovarne la cura, ma tenta invano; la madre ricorre all’aiuto di un esorcista, sempre più convinta ormai che la natura della malattia della figlia sia soprannaturale.
William Friedkin, il regista, era all’epoca già conosciuto per aver girato un formidabile poliziesco, “Il braccio violento della legge”, film per il quale Gene Hackman, interpretando un poliziotto dai modi duri e assai poco ortodossi, si era aggiudicato l’Oscar come miglior attore protagonista. La critica aveva elogiato lo stile secco, spietato, documentaristico, di Friedkin. Realismo così crudo, senza né buoni né cattivi, in una police story, non si era mai visto. Per “L’esorcista” Friedkin prende a prestito un romanzo di William Peter Blatty, tratto da un presunto caso di possessione accaduto a un quattordicenne del Maryland all’inizio degli anni Quaranta. La sceneggiatura, opera dello stesso Blatty, è atipica per il genere: per tutta la prima metà del film la storia si concentra sulla “malattia” dell’adolescente e sui tentativi ad opera della madre di diagnosticarla. Analisi, pareri neurologici, elettroencefalogrammi. In parallelo, la vicenda di un prete psichiatra che perde l’anziana madre e viene divorato dal senso di colpa fino a far vacillare la propria vocazione di fede. Sarà lui a essere chiamato in causa dalla madre quando i tentativi di analisi scientifica falliranno uno dopo l’altro. E sarà lui a far entrare la storia nel campo dell’ignoto, dell’inspiegabile, del metafisico. Questi tre aggettivi connotano ogni film horror che si rispetti. Ogni horror ha a che vedere con il non conosciuto, con l’ultraterreno, con l’immateriale. L’orrore ha luogo quando l’irrazionale diventa inevitabile ed entra in collisione con la logica. Linda Blair scossa violentemente sul letto, Linda Blair che latra frasi sconce, Linda Blair che vomita verde (crema di piselli, dice la leggenda) non è che questo. Eppure, da appassionato del genere, anche oggi, a quarant’anni, continuo a essere scettico. Non sono convinto che “L’esorcista”, “l’horror più terrificante di tutti i tempi” sia un horror. E’ sicuramente un film terrificante, nel senso etimologico del “far tremare”. Ma siccome è il modo in cui si fa tremare a essere significante di un codice, di un genere, mi pare sempre più evidente che il film di Friedkin disturba e fa tremare non nel senso in cui può far tremare o disturbare un film horror. Troppo viene mostrato, e troppo viene mostrato secondo stilemi fuori contesto. Realismo: tutto è nitido, delineato, chiaro. Il mostro stesso, il diavolo se volete, il volto della Blair deturpato e ringhiante, è sempre troppo perfettamente a fuoco. Tutto è illuminato, come in anatomia, come in autopsia, non in romanzo. Il terrore, più che dal contatto con l’illogico, scaturisce dall’oscenità. Carmelo Bene sosteneva che “osceno” significa “fuori dalla scena”. Non teatralizzato, non scenografato. Osceno è ciò che è reale e non rappresentato. Ecco, questo film è terrificante, e continua a esserlo dopo quarant’anni, perché riesce a raccontare l’ignoto in maniera oscena. Niente nebbie, sfumati, o bui del gotico. Soltanto il male oscuro, portato alla luce.

Francesco Bianconi, Baustelle

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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