Gerhard Richter Painting è un documentario realizzato dall’esordiente Corinna Belz. Il tema nello specifico è l’opera di Richter nel biennio 2008-2009. L’artista viene ripreso in diverse situazioni: nel suo atelier alle prese con le sue creazioni, nelle gallerie che presentano i suoi lavori, nelle conferenze stampa, nel tempo libero. Obiettivo non nascosto del documentario è la rappresentazione del modus operandi di Richter. Ogni particolare viene preso in esame (dalla miscela dei pigmenti per formare i colori, fino agli strumenti che Richter usa per distenderli sulla tela), mentre la regista intervista l’artista, la moglie, i suoi assistenti e diversi galleristi. Ciò che ne esce fuori è un ritratto fin troppo umano di Richter: vengono messe in risalto l’ironia, l’incertezza e la riservatezza di un uomo che ha preferito sempre celarsi dietro la propria arte. Si mostrano i momenti più delicati del processo creativo e spesso Richter si scusa, ammettendo che in quella determinata circostanza non sa come continuare a comporre. Oppure ancora si vede Richter mentre tenta di dire la sua sul valore dell’arte greca, di fronte alla quale non trova altra spiegazione che non sia “la bellezza del contrasto”. Viene dunque da chiedersi il perché di un tale documentario. Perché rendere necessariamente in termini comprensibili le dinamiche profonde e irrazionali che muovono la mano di Richter? Il rischio è infatti quello esecrabile di far passare l’artista in secondo piano a favore dell’uomo, dilapidando così la ricchezza della sua vastissima produzione. In realtà, in maniera forse involontaria, Richter evita al film una deriva verso il qualunquismo: ci riesce proprio con la sincerità e l’imbarazzo di un volto che smette di inquadrare e diventa obiettivo dalla macchina da presa. L’incomunicabilità di Richter è la riprova dell’inintelligibilità della sua arte. L’ispirazione lo attraversa in maniera incontrollata ed instabile. Anche la sua maniera di lavorare il colore e concepire lo spazio e la struttura sono frutto della più disarmante spontaneità. Il documentario della Belz non fa che assecondare tutto questo con un’onesta regia. La concezione dell’atelier come set, la canonicità delle lunghe pose sulle pareti bianchissime e le opere ancora in lavorazione, i dettagli delle superfici: questi espedienti risaltano il divenire delle tele in un processo di metamorfosi che Richter persegue costantemente.
Gerhard Richter painting non sarà in definitiva un capolavoro di genere, ma ha il grande pregio di fornire immagini indelebili di un uomo che per tutta la vita ha continuato a definirsi attraverso la propria creatività, incurante eppure consapevole di cosa piacesse innanzitutto a lui stesso. Un artista che nel suo atelier, tra i cataloghi delle sue opere e i modellini delle gallerie più importanti al mondo, conserva centinaia di album fotografici. Li sfoglia cercando di cogliere ispirazione dalla vita in cui è immerso. Uno di questi album contiene foto di bambini e va recando il titolo di Vorbilder – esempi, modelli, ma anche ideali.